(Marco Emanuele)
Il realismo della pace chiede pensiero complesso. E’ tempo di una nuova articolazione di pensiero, di un quadro strategico rinnovato e adeguato al terzo millennio della condizione umana, caratterizzato e percorso da crescente complessità.
La sfida è di trasformazione, non solo di cambiamento. C’è bisogno di un approccio non partigiano, di un nuovo realismo. Perché il discorso sulla pace, per un nuovo umanesimo, non può che partire dalla presa d’atto di tre elementi profondamente interrelati: la ‘naturalità’ del conflitto come condizione di confronto tra ‘differenti umani’; il bisogno di continue mediazioni per ri-congiungere ciò che è disperso; la necessità di visioni nell’ ‘oltre’ (il futuro già presente della nostra condizione umana, ormai planetaria).
Questa ‘tri-unità’ di elementi è la base del nostro lavoro. Ci domandiamo, percorrendo la realtà, cosa significhi fare pace e ci rendiamo conto, dentro la policrisi de-generativa e immersi nel mondo come ‘arena planetaria’, che la parola pace può diventare realistica solo se si confronta con la propria incompiutezza, che è la nostra: fare pace significa vivere nella logica del ‘progress’, della continua ricerca di miglioramento, costruendo strade per futuri possibili.
Ciascuno di noi ha un ruolo storico e ha la responsabilità di esercitarlo. Colpisce – a più di trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e al di là dei personalismi – il tema strutturale della debolezza delle classi dirigenti (ivi compresi gli intellettuali) rispetto alla complessità della Storia. Tutti dovremmo interrogarci sui limiti che, negli ultimi decenni, si sono resi evidenti e hanno aggravato l’incapacità di essere ‘soggetti storici’, agenti, trasformanti.
(English version)
Peace realism requires complex thinking. It is time for a new articulation of thought, for a strategic framework renewed and adapted to the third millennium of the human condition, characterized and traversed by growing complexity.
The challenge is transformation, not just change. There is a need for a non-partisan approach, a new realism. Because the discourse on peace, for a new humanism, can only start from the acknowledgment of three profoundly interrelated elements: the ‘naturalness’ of conflict as a condition of confrontation between ‘different humans’; the need for continuous mediations to re-join what is dispersed; the need for visions into the ‘beyond’ (the already present future of our now planetary human condition).
This ‘tri-unity’ of elements is the basis of our work. As we explore reality, we ask ourselves what it means to make peace and we realise, within the de-generative polycrisis and immersed in the world as a ‘planetary arena’, that the word peace can only become realistic if it is confronted with its own incompleteness, which is ours: making peace means living in the logic of ‘progress’, of the continuous search for improvement, building paths for possible futures.
Each of us has a historical role and has the responsibility to exercise it. What is striking – more than thirty years after the fall of the Berlin Wall and beyond personalism – is the structural theme of the weakness of the ruling classes (including intellectuals) compared to the complexity of History. We should all ask ourselves about the limits that, in recent decades, have become evident and have aggravated the inability to be ‘historical subjects’, agents, transformers.
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