Nuovo umanesimo. Un punto di svolta / New humanism. A turning point

Ci occupiamo di ‘nuovo umanesimo’ perché pensiamo che il mondo sia arrivato a un punto di svolta radicale. Siamo in un momento particolarmente delicato della storia dell’umanità, dentro una grande trasformazione che chiede nuovi paradigmi culturali e operativi. Lungi dall’essere stato un ‘secolo breve’, il ‘900 è ancora tra noi. E’ nel nostro pensiero: siamo tutti orfani del fallimento dell’illusione, fattasi auto-inganno, della ‘fine della Storia’. In tanti ci avevamo creduto: imploso il nemico storico dell’Occidente, l’Unione Sovietica, il ‘mondo libero’ non è stato in grado di ripensarsi, di ridefinire l’impianto complessivo del mondo e delle relazioni internazionali nel tempo nuovo che andava formandosi.

Oggi ci troviamo in una situazione di crescente complessità nella quale, sempre di più, assistiamo a processi contestuali di interrelazione e di separazione. Si tratta di una compresenza radicale, laddove vediamo un mondo ‘globalizzato’ e comunità umane sempre più divise nel profondo delle loro esistenze. I percorsi di nuovo umanesimo devono collocarsi sul piano dell’umanizzazione della modernità. Attenzione, però, alle semplificazioni.

Umanizzare la modernità non significa porre un pò di etica sui rapporti di potere in ri-composizione. Occorre ben altro. Non possiamo permetterci un secondo auto-inganno, dopo il primo generato dall’illusione da ‘fine della Storia’. Ora che le storie sono tornate, la nostra responsabilità è di viverle a fondo, ben comprendendo le contraddizioni che noi stessi rappresentiamo e che portiamo nella realtà globale che evolve/involve. Non c’è separazione tra i ‘nostri’ ambiti vitali, limitati territorialmente, e il pianeta: nel nuovo umanesimo, il destino di ciascuno di noi è parte inseparabile del destino planetario dell’intera e unica umanità.

I futuri possibili e la pace

Sembriamo non avere più la capacità di immaginare i futuri possibili. Eppure non possiamo arrenderci all’imminenza del presente, ciò che ci vorrebbe far rassegnare a una sostanziale ‘fissità’ di certezze definite: arrendersi significa restare dentro un’architettura di pensiero lineare e causale, di fatto negando il nostro stesso ‘spirito agente’, come se noi umani fossimo spettatori, più o meno interessati, di un destino scritto da altri.

I futuri possibili nascono, anzitutto, dalla re-integrazione del soggetto osservatore in ciò che osserva. Mentre gli esperti di relazioni internazionali ci propongono analisi dotte e molto informate sulle prospettive delle guerre che attraversano il mondo, ciò che sfugge è il destino della condizione umana, dei popoli, qualunque sia la loro cultura di riferimento. Se non si integra l’analisi dei rapporti di potere ‘sovrastanti’ nel profondo delle comunità umane, è impossibile davvero comprendere ciò che accade.

Tutto questo vale non solo per le guerre. Le frontiere dell’intelligenza artificiale e la crisi climatica sono un laboratorio straordinario di osservazione complessa della realtà. Se le ragioni del capitalismo digitale sono da considerare in maniera strategica, così come quelle dell’economia rispetto all’urgenza della transizione energetica, l’osservazione, il ‘giudizio storico’, deve allargarsi all’impatto di tali dinamiche sulla complessità della condizione umana.

Pace è la capacità di sentire la chiamata della Storia e delle storie. Non è solo assenza di guerra, così come non è cancellazione del conflitto. La pace, pensata in maniera complessa, è processo storico permanente, laboratorio di mediazione e di visione che si trasforma a seconda dei contesti di riferimento e delle dinamiche planetarie in progress.

La pace è condizione indispensabile per poter parlare di ‘futuri possibili’. Per questo serve il pensiero complesso: perché non bastano gli appelli morali. La pace è questione di profonda ‘metanoia’, di ri-scoprirci profondamente, e mai compiutamente, umani. E’ proprio la nostra imperfezione che ci vincola nella continua ricerca della pace e che ‘giustifica’ il percorso di nuovo umanesimo. L’aggettivo ‘nuovo’ riguarda la capacità di ri-umanizzazione, il talento di alimentare in ogni istante il nostro sentimento verso la Storia e della Storia in noi. Nessuna separazione.

(English version)

We deal with ‘new humanism’ because we think the world has reached a radical turning point. We are in a particularly delicate moment in the history of humanity, within a great transformation that requires new cultural and operational paradigms. Far from having been a ‘short century’, the the twentieth century is still among us. It is in our thoughts: we are all orphans of the failure of the illusion, which has become self-deception, of the ‘end of History’. Many of us believed it: once the historical enemy of the West, the Soviet Union, imploded, the ‘free world’ was unable to rethink itself, to redefine the overall structure of the world and of international relations in the new time that was taking shape.

Today we find ourselves in a situation of increasing complexity in which, more and more, we witness contextual processes of interrelation and separation. This is a radical co-presence, where we see a ‘globalised’ world and human communities increasingly divided in the depths of their existence. The paths of new humanism must be placed on the level of the humanization of modernity. Be careful, however, about simplifications.

Humanizing modernity does not mean placing a bit of ethics on re-composing power relations. Much more is needed. We cannot afford a second self-deception, after the first generated by the ‘end of History’ illusion. Now that the stories are back, our responsibility is to live them fully, understanding the contradictions that we ourselves represent and that we bring into the global reality that evolves/involves. There is no separation between ‘our’ vital areas, limited territorially, and the planet: in the new humanism, the destiny of each of us is an inseparable part of the planetary destiny of the entire and unique humanity.

Possible futures and peace

We no longer seem to have the ability to imagine possible futures. Yet we cannot surrender to the imminence of the present, which would make us resign ourselves to a substantial ‘fixity’ of defined certainties: surrendering means remaining within an architecture of linear and causal thinking, effectively denying our own ‘acting spirit’, as if we humans were spectators, more or less interested, of a destiny written by others.

Possible futures arise, first of all, from the re-integration of the observing subject into what he observes. While international relations experts offer us learned and very informed analyzes on the prospects of the wars that cross the world, what escapes us is the fate of the human condition, of peoples, whatever their culture of reference. If the analysis of ‘overlying’ power relations and what happens deep within human communities are not integrated, it is impossible to truly understand what is happening.

All this applies not only to wars. The frontiers of artificial intelligence and the climate crisis are an extraordinary laboratory for complex observation of reality. If the reasons for digital capitalism are to be considered in a strategic manner, as are those of the economy with respect to the urgency of the energy transition, the observation, the ‘historical judgement’, must extend to the impact of these dynamics on the complexity of the human condition.

Peace is the ability to hear the call of History and stories. It is not just the absence of war, just as it is not the cancellation of conflict. Peace, thought of in a complex way, is a permanent historical process, a laboratory of mediation and vision that transforms depending on the contexts of reference and the planetary dynamics in progress.

Peace is an indispensable condition for being able to talk about ‘possible futures’. This is why complex thinking is needed: because moral appeals are not enough. Peace is a question of profound ‘metanoia’, of rediscovering ourselves profoundly, and never completely, as human. It is precisely our imperfection that binds us in the continuous search for peace and that ‘justifies’ the path of new humanism. The adjective ‘new’ concerns the ability to re-humanize, the talent to nourish our feeling towards History and History within us at every moment. No separation.

(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)

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