Nel profondo, ormai evidente, della democrazia

Giova ribadirlo. La democrazia non è immune dalla sua de-generazione. I fatti di Brasilia, pur nelle differenze, ricordano inevitabilmente quanto accaduto il 6 gennaio di due anni fa al Campidoglio.

In ogni caso, il profondo dei sistemi istituzionali emerge e s’impone. E lo fa anche nelle democrazie, più o meno fragili. Certo si dirà, con una litanìa stancante, che le democrazie sono meglio delle autocrazie e che hanno gli anticorpi per non sentirsi in pericolo. Nel sottolineare che la democrazia, tra i sistemi conosciuti, è quello che garantisce diritti e libertà, alcune considerazioni sono d’obbligo.

Il tempo che viviamo ci mostra come il rischio per le democrazie venga tanto dall’interno quanto dall’esterno dei suoi confini. E’ inutile, in questa fase storica, ergersi a sacerdoti lineari di un sistema duramente messo alla prova nella sua essenza. E’ venuto il tempo, semmai, di ri-cominciare a fare i conti con la realtà. Le democrazie necessitano di una fase di ri-fondazione.

Non sappiamo se, come qualcuno ha notato, esista una sorta di “Quarta internazionale del populismo insurrezionale”. Sappiamo, invece, che, non solo in Italia, l’astensionismo aumenta, che i cittadini si riconoscono sempre meno nella capacità delle classi dirigenti partitiche di affrontare davvero (non solo “di spada” ma anche attraverso la mediazione, il negoziato, il dialogo)  i nodi storici che hanno di fronte; classi dirigenti che, un pò semplicisticamente, pensano che il massimo del merito risieda nella coerenza (fattore certamente importante) tra quanto promesso in campagna elettorale e quanto realizzato al governo. Sappiamo che nelle democrazie si allargano le disuguaglianze; sappiamo che il disagio sociale (sotto varie forme) è tutt’altro che risolto; sappiamo, altresì, che molto del disagio può essere strumentalizzato per mettere in discussione il potere costituito e democraticamente eletto (ricordando, en passant, che non sempre le elezioni democratiche  hanno portato bene …).

Detto questo, le immagini di Brasilia, così come quelle “gemelle” di Washington, ci dicono che qualcosa di profondo, nei sistemi democratici, ciclicamente esplode (fenomeno non nuovo ma che fa più impressione laddove si pensa che la democrazia possa dirsi “compiuta”). Mentre siamo convinti che occorra rafforzare le istituzioni, la vera speranza per le nostre democrazie risiede nella capacità di ri-legare le comunità umane che le vivono, ri-tornando progettualmente alla Politica. Ciò maturerebbe un talento auto-critico che oggi non si vede e che permetterebbe alle classi dirigenti di democrazie in ri-forma di incrociare la verità in progress della vita che evolve/involve. Riducendo, in tal modo, il pericolo che contropoteri non certo democratici facciano della salvaguardia del popolo la loro “banale” bandiera di senso.

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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