(Marzia Giglioli)
Siamo sempre più intelligenti. Diversi test parametrati nei due secoli (il 900 e l’attuale) dimostrano un costante aumento del QI anche se la teoria di Flynn (che per primo ne ha teorizzato la misurazione) sembra appannarsi un pò negli ultimi anni. La media del QI sta comunque salendo ed è dovuta al miglioramento dell’istruzione e della nutrizione infantile, e alle generali condizioni di salute, ma anche al miglioramento del pensiero astratto che viene misurato in molti test sul quoziente intellettivo. Nel libro uscito qualche anno fa, dal titolo ‘Intelligence: All that Matters’, Stuart Ritchie (psicologo scozzese e divulgatore scientifico noto per le sue ricerche sull’intelligenza umana, dal 2018 docente presso l’Institute of Psychiatry, Psychology and Neuroscience del King’s College di Londra) decifra il rapporto tra QI e gli effetti collaterali. Chi è più intelligente allunga la propria vita (anche perché mediamente si tratta di individui che, grazie al proprio QI, raggiungono standard di vita migliori) e commette meno ‘errori fatali’. Chi è intellettualmente più evoluto lo rimane per tutta la vita, ma non significa però che sia più felice: anzi, avendo aspettattive più complicate soffre di maggiori insoddisfazioni. Il QI, inoltre, non si lega a tratti di personalità caratteristici, c’è un solo elemento comune e riguarda la predisposizione a nuove esperienze e a ‘idee più aperte’.
Al QI contribuisce per il 50% il fattore genetico (molti i test effettuati sui gemelli) e per l’altra metà il fattore ambientale, le informazioni, l’istruzione.
Ma, a fronte di questa evoluzione ‘sapiens’, sembrano mancare sempre più le ‘risposte’. C’è negatività diffusa e non sappiamo generare creatività complesse.
In questi giorni, hanno discusso Tomaso Poggio (membro del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory del MIT e condirettore del Center for Brains, Minds and Machines) e Marco Magrini (per anni corrispondente del Sole 24 Ore, oggi scrive per la Royal Geographical Society) che insieme hanno pubblicato il libro ‘Cervelli, Menti, Algoritmi’. Inevitabile l’analisi sugli effetti dell’intelligenza artificiale, sul ruolo dell’intelletto umano nel presente e nel futuro, dell’impatto che la tecnologia assume anche rispetto ai modelli delle nostre società. Si è parlato, nel corso della presentazione del libro, anche del fatto che l’intelligenza media della popolazione aumenta da decenni, ‘ma al tempo stesso la democrazia diminuisce’.
Per Poggio, tutte le tecnologie potenti portano con loro grandi pericoli. Ma ci sono fatti più pericolosi come il riscaldamento globale e le armi nucleari. ‘L’aspetto pericoloso non è l’intelligenza artificiale ma è la disinformazione dei social media che può aumentare con l’IA, con i modelli linguistici, ed è un problema che minaccia la struttura della nostra società: se non sappiamo più cosa è vero e a cosa credere, è difficile prendere decisioni come società. Questo è un grosso problema e non è chiaro quale possa essere la soluzione. Ed è certo che aziende leader (e, aggiungiamo, gli stessi leader, NDR) per aumentare consenso fomentano conflitti e contrasti.. È un problema davvero grosso’.
Se sempre di meno distinguiamo ciò che è vero da ciò che non lo è, diventano sempre più sfocati i principi primi. Barcollano i riferimenti, ed anche le democrazie rischiano di non interpretare più il sogno che le ha generate, per lasciare spazio alla esasperazione dei conflitti, anziché alle dialettiche costruttive. Si esaspera il dualismo contrappositivo, si alzato i muri del non dialogo, non si attraversano più i confini.
La campagna presidenziale è appena iniziata negli Usa e le posizioni sono già opposizioni. La democrazia può davvero avere una narrazione così divisiva?
Per il 2024 la grande domanda culturale per l’America se l’è posta il Washington Post: ‘Come riconnetterci? Ci siamo spostati da una parte, in una narrazione implacabilmente negativa del declino. Destra e sinistra non sono d’accordo quasi su nulla, tranne che sul fatto che siamo una nazione sulla strada sbagliata. Nel 1972 Ray Charles pubblicò la sua iconica ‘America the Beautiful’. Era un periodo di bombardamenti interni, proteste contro la guerra, scontri razziali, omicidi politici, sconvolgimenti economici. Cantò la canzone come non era mai stata cantata, con il dolore e la gloria in un contrappunto pieno di sentimento. Era un terreno comune per un popolo diviso. Nel 2024 siamo alla ricerca di un altro Ray’.
(riproduzione autorizzata citando la fonte)
.