(Marzia Giglioli)
L’AI può prevedere quanto vivremo, quali saranno le chances della nostra esistenza, cosa è scritto nel nostro destino.
Se finora le domande sul futuro di ognuno di noi potevano essere circoscritte a ‘grezze ipotesi’, ora gli algoritmi lasceranno poco spazio all’immaginazione.
Prevedere l’aspettativa di vita, oppure il futuro di un individuo, è quanto ha dimostrato di poter fare l’ algoritmo sviluppato da Sune Lehmann dell’Universita’ Tecnica della Danimarca a Lyngby, descritto sulla rivista Nature Computational Science.
Questa applicazione di intelligenza artificiale ha ‘imparato’ a fare previsioni sui singoli individui dopo essere stato addestrata con i dati relativi a 6 milioni di persone, trasformandosi in uno strumento (utile?) molto dettagliato in grado di disegnare il destino dei singoli soggetti, comprese le aspettative di vita.
In realtà, l’applicazione è di fatto una estensione di ciò che già conosciamo e riguarda la ‘traduzione’ dei linguaggi. Solo che questa app ha dimostrato di poter andare molto oltre, di poter tradurre dati e comportamenti in una simulazione della esperienza individuale.
I segreti dell’esistenza di ognuno inseriti in un data base. Non più fantascienza ma un’anagrafe del futuro che investe non solo la sfera etica ma anche quella giuridica. Occorre pensare a nuove normative, a fronte di milioni di dati già a disposizione e pronti per essere elaborati per gli identikit personali.
Al di là dei risultati che, osservano i ricercatori, sono stati piuttosto accurati, lo studio sottolinea soprattutto la necessità di discutere in modo aperto l’utilizzo nel mondo reale di tipologie di applicazioni come queste e dei possibili impatti sui diritti individuali.
Di un modello previsionale di questo tipo si possono immaginare le applicazioni più disparate: da quelle sociali (pianificare la spesa pensionistica) a quelle più private (che diventano molto inquietanti e pericolose).
‘Dal punto di vista giuridico’ – sottolinea Andrea Bertolini del Sant’Anna di Pisa – ‘sarà importante valutare la capacità previsionale di tali modelli e di conseguenza definirne il contesto di utilizzo con maggiore precisione. Ovviamente sarà importante anche definire come e quali dati personali potrebbero essere usati’.
(English version)
AI can predict how long we will live, what the chances of our existence will be, what is written in our destiny. If until now the questions about the future of each of us could be limited to ‘raw hypotheses’, now the algorithms will leave little for the imagination. Predicting life expectancy, or the future of an individual, is what the algorithm developed by Sune Lehmann of the Technical University of Denmark in Lyngby, described in the journal Nature Computational Science, has demonstrated.
This artificial intelligence application ‘learned’ to make predictions about individuals after being trained with data relating to 6 million people, transforming itself into a very detailed (useful?) tool capable of designing the fate of individual subjects, including life expectations. In reality, the application is actually an extension of what we already know and concerns the ‘translation’ of languages. Except that this app has demonstrated that it can go much further, that it can translate data and behavior into a simulation of the individual experience.
The secrets of everyone’s existence inserted into a database. No longer science fiction but a registry of the future that affects not only the ethical but also the legal sphere. We need to think about new regulations, given the millions of data already available and ready to be processed for personal identikits. Beyond the results which, the researchers observe, were quite accurate, the study above all underlines the need to openly discuss the use of types of applications like these in the real world and the possible impacts on individual rights. The most disparate applications of a forecasting model of this type can be imagined: from social ones (planning pension spending) to more private ones (which become very disturbing and dangerous). ‘From a legal point of view’ – underlines Andrea Bertolini of Sant’Anna di Pisa – ‘it will be important to evaluate the predictive capacity of these models and consequently define the context of use with greater precision. Obviously it will also be important to define how and which personal data could be used’.
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