L’analisi lineare e quantitativa nega la complessità / Linear and quantitative analysis denies complexity

(Marco Emanuele) 

Negazione della complessità: questo sembra essere il ‘mantra’ dell’analisi lineare.

L’intelligence dovrebbe nutrirsi di complessità e non lasciarsi irretire dalla potenza tecnologica che aumenta la quantità dei dati a disposizione. Occorre aprire finestre qualitative nel persistente dominio di un pragmatismo dell’appartenenza, e relativa dogmatizzazione, e della competizione-per-la-competizione, esacerbando la separazione.

Crediamo, follemente auto-ingannandoci, in una realtà quantitativamente determinata, addirittura compiuta, ma è la stessa realtà a rivoltarsi contro di noi, ad aumentare il livello di rischio, a trasformare la naturale incertezza in pericolosa insicurezza. Tutto nasce dall’esaltazione della certezza: della nostra identità; della quantità di dati che dovrebbero darci l’evidenza di raggiunte compiutezze; dell’essere sicuri che, avendo studiato il passato, possiamo costruire il futuro. Legge binaria e solo quantitativa, nella causalità: ma tutto questo non aiuta a vivere, e a pre-vedere, nel futuro già presente.

Viviamo l’urgenza di formare analisti e classi dirigenti al pensiero complesso. Dovremmo sapere, soldati e sacerdoti della linearità, che i modelli che abbiamo costruito e che ci limitiamo a rafforzare (senza problematizzarli) ci portano fuori dalla realtà e ci rendono sempre più fragili o, come moda culturale vorrebbe, sempre meno resilienti.

L’intelligence, se non scava nella realtà attraverso il pensiero complesso, è semplicistico ‘reporting’ per classi dirigenti che vogliono leggere ciò che già pensano, sorta di ‘confort zone’ nella quale far maturare decisioni (a)strategiche. L’auto-inganno, così facendo, è già avviato: si rimane intrappolati nelle proprie convinzioni senza conoscenza, portando avanti vecchi schemi in realtà in trasformazione. I ‘7 ottobre’, così continuando, sono destinati a proliferare.

(English version) 

Denial of complexity: this seems to be the ‘mantra’ of linear analysis.

Intelligence should feed on complexity and not be ensnared by the technological power that increases the quantity of data available. It is necessary to open qualitative windows in the persistent domain of a pragmatism of belonging, and related dogmatization, and of competition-for-competition’s sake, exacerbating the separation.

We believe, madly self-deceiving ourselves, in a quantitatively determined, even accomplished reality, but it is the same reality that turns against us, increases the level of risk, transforms natural uncertainty into dangerous insecurity. Everything comes from the exaltation of certainty: of our identity; of the quantity of data that should give us evidence of achieved completeness; of being sure that, having studied the past, we can build the future. Binary and only quantitative law, in causality: but all this does not help to live, and to foresee, in the already present future.

We experience the urgency of training analysts and ruling classes in complex thinking. We should know, soldiers and priests of linearity, that the models we have built and which we limit ourselves to strengthening (without problematizing them) take us out of reality and make us more and more fragile or, as cultural trend ‘docet’, less and less resilient.

Intelligence, if it does not delve into reality through complex thinking, is simplistic ‘reporting’ for ruling classes who want to read what they already think, a sort of ‘comfort zone’ in which (a)strategic decisions can be made. Self-deception, in doing so, has already begun: one remains trapped in one’s own beliefs without knowledge, carrying forward old patterns in transforming reality. The ‘October 7th(s)’, continuing in this way, are destined to proliferate.

(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)

 

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