(Marco Emanuele)
L’Assemblea straordinaria dell’ONU approva una risoluzione non vincolante per il cessate il fuoco a Gaza, il mondo guarda deluso ai risultati della COP28 di Dubai (aspettando la prossima bozza), l’Unione Europea e il compromesso con Orban. Proprio ora è il momento di ri-elaborare – secondo complessità – l’idea di pace.
Il menu degli ‘evocatori’ di pace è molto variegato: e la pace è un orizzonte, tanto agognato quanto irraggiungibile nella sua compiutezza.
Non vi è dubbio che la costruzione della pace riguardi anzitutto la nostra coscienza. Ma c’è un oceano tra il volerla, l’urlarla nelle piazze e il realizzarla storicamente. Per noi, un primo passo di pace è accettare, ri-pensandola, la logica della mediazione. E’ un processo lungo, delicato, che spesso coinvolge molte parti e che non riguarda solo la risoluzione dei conflitti armati ma l’intero impianto della nostra convivenza umana.
Mediare significa lavorare a ri-congiungere ciò che è disperso. Mediare significa de-radicalizzare le visioni particolari, sempre più ‘dogmatizzate’ come presunte Verità di parte.
Pensiamo a visioni sistemiche, non solo alla risoluzione dei conflitti armati: tanto più che le tregue, necessarie per ragioni umanitarie, non portano alla pace se non risolvono i nodi di fondo, profondi, che hanno causato e continuano a causare gli stessi conflitti. Così accade nel Vicino Oriente dove le interrelazioni sono talmente radicate, e spesso malsane, da aumentare esponenzialmente il livello di complessità nell’area.
Visioni sistemiche impongono nuovi approcci. Se apriamo il nostro sguardo, infatti, notiamo che è la competizione-per-la-competizione la ragione del nostro diffuso disagio esistenziale. E’ così rispetto alla governance dell’intelligenza artificiale, dove siamo divisi tra tecno-entusiasti e tecno-oppositori (entrambi portatori di evidenti ragioni economiche, mancando i tecno-realisti …); è così rispetto alle politiche climatiche dove, sempre per ragioni economiche, la mediazione si fa in progress più difficile (ma abbondano i compromessi).
Ri-elaborare l’idea di pace, nella nostra visione, fa rima con la necessità di contribuire a formare nuove classi dirigenti per un nuovo Umanesimo. Le attuali classi dirigenti, ci sia permesso un pensiero radicale, rappresentano trasversalmente la crisi de-generativa di un paradigma culturale e politico ancora appeso a un mondo che non c’è più. Se il primo passo verso la pace è la mediazione, oggi siamo immersi nel tempo dell’ ‘inevitabile’ compromesso.
(English version)
The UN Extraordinary Assembly approves a non-binding resolution for the ceasefire in Gaza, the world looks disappointed at the results of COP28 in Dubai (waiting for the next draft), the European Union and the compromise with Orban. Right now is the time to re-elaborate – according to complexity – the idea of peace.
The menu of the ‘evokers’ of peace is very varied: and peace is a horizon, as longed for as it is unattainable in its completeness.
There is no doubt that peacebuilding first and foremost concerns our conscience. But there is an ocean between wanting it, shouting it in the squares and realizing it historically. For us, a first step towards peace is to accept, re-thinking it, the logic of mediation. It is a long, delicate process, which often involves many parties and which does not only concern the resolution of armed conflicts but the entire structure of our human coexistence.
Mediating means working to re-join what is dispersed. Mediating means de-radicalizing particular visions, increasingly ‘dogmatized’ as presumed partisan Truths.
We think about systemic visions, not just about the resolution of armed conflicts: especially since truces, necessary for humanitarian reasons, do not lead to peace if they do not resolve the underlying, profound issues that have caused and continue to cause the same conflicts. This is what happens in the Near East where interrelationships are so deep-rooted, and often unhealthy, that they exponentially increase the level of complexity in the area.
Systemic visions impose new approaches. If we open our gaze, in fact, we notice that competition-for-competition is the reason for our widespread existential discomfort. This is the case with respect to the governance of artificial intelligence, where we are divided between techno-enthusiasts and techno-opponents (both bearers of obvious economic reasons, lacking the techno-realists…); this is the case with respect to climate policies where, again for economic reasons, mediation is progressively becoming more difficult (but compromises abound).
Re-elaborating the idea of peace, in our vision, rhymes with the need to contribute to forming new ruling classes for a new Humanism. The current ruling classes, we write in radical terms, transversally represent the de-generative crisis of a cultural and political paradigm still hanging on to a world that no longer exists. If the first step towards peace is mediation, today we are immersed in the time of the ‘inevitable’ compromise.
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