(Marco Emanuele)
Con tanti (molto più competenti di noi), molte volte abbiamo scritto che l’intelligenza artificiale è trasformativa. In questo aggettivo c’è tutto il senso di un fenomeno epocale che tocca, e toccherà nel profondo, le nostre vite personali, la vita collettiva e le relazioni internazionali.
Esistenziale, l’intelligenza artificiale la è sia dal punto di vista delle opportunità che da quello dei rischi. Non ne scriviamo tecnicamente, non è il nostro mestiere, ma strategicamente, secondo pensiero complesso, politicamente. Mai nulla come l’intelligenza artificiale, per radicalità e velocità, sta trasformando il ‘chi siamo’.
Ecco perché riflettere sull’IA, mentre la ricerca procede senza sosta (e, pur con vari ‘alert’, senza limiti) significa riflettere nel ‘chi diventiamo’. La parola chiave è ‘nel’. Perché, ci piaccia o no, stiamo vivendo ‘futuri già presenti’ e questo ci vincola a un nuovo pensiero geostrategico.
Anziché perderci in polemiche sterili (e molto italiane) sull’età/opportunità di commissari che, qualunque sia il loro background, non lasceranno alcun segno sul tema dell’IA, dovremmo concentrarci sulla questione vera: siamo dentro un cambio di era che, sempre di più, cresce in complessità. Dunque anche in fluidità e imprevedibilità.
Lavorare nel ‘chi diventiamo’ significa andare nel profondo delle trasformazioni indotte dall’IA e dai suoi progressi. Lo spettro delle applicazioni è talmente vasto e trasversale che nulla è lasciato fuori dagli impatti dell’IA: nel bene e nel male, ripetiamo. Dunque, dentro una tecnologia così trasformativa, anziché ‘costituire’ commissioni su un fenomeno come l’IA, occorrerebbe ri-pensare la politica in senso re-istituente. Nessuna commissione, in uno Stato burocratico, potrà mai cogliere il senso di ciò che sta accadendo e che va ben oltre, sia chiaro, la nostra idea consolidata di cambiamento lineare.
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