Mentre il terzo millennio avanza, nella ri-composizione radicale dei rapporti di potere (cambio di era), il cervello delle classi dirigenti (incluso quello di molti analisti lineari) continua a percorrere le strade certe di un ‘900 finito.
Siamo ancora nel regno del “costituito”, e gli effetti si vedono. Di fronte alla flessibilità di fatto, e non ancora di diritto, portata dalla rivoluzione tecnologica (l’IA generativa docet), il pensiero di molti è ancorato al paradigma della certezza assoluta di scelte non problematizzate, a-politiche. Perché la frontiera della politica, occorrerebbe capirlo in fretta, passa dalla ri-appropriazione della metamorfosi in atto (che, linearmente, chiamiamo cambiamento).
A cominciare da Stati sempre più burocratici, vizio evidente anche in democrazie “sacralizzate” e non passate attraverso la necessaria auto-critica, il “costituito” si radicalizza e separa. Parole come de-coupling intasano il dibattito della politica internazionale mentre non ci si ferma a a riflettere che il problema non è tornare indietro rispetto alla globalizzazione ma governarla politicamente.
Se bisogna fermare la guerra scatenata da Putin e dal suo gruppo di potere (serve una diplomazia creativa), evitando di cadere nella molto profittevole economia di guerra (di un generale riarmo con la scusa di aver aiutato militarmente i resistenti ucraini), con la Cina i ragionamenti dovrebbero essere diversi. L’eterna tattica non funziona più, occorrono “nuove” geostrategie.
L’inganno del “costituito” genera pericolosi auto-inganni come quello di far credere all’Occidente di essere ancora il e al centro del mondo. Si rassegnino i sacerdoti della linearità, della semplicazione e della certezza: la metamorforsi avanza e la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi chiama tutti, e ciascuno, a “nuove” responsabilità “re-istituenti”.