Ci interessa approfondire, lasciando sullo sfondo le cronache di interferenze straniere e di corruzione che oggi riguardano il Parlamento Europeo (in una inchiesta destinata ad allargarsi), la questione del ‘ritorno della storia’. Forse siamo giunti alla ‘fine della fine della storia’.
Premetto fin da subito che questo è un discorso politico, qui inteso come un discorso di necessaria visione politico-strategica del mondo nel quale viviamo. Se utilizziamo un pensiero complesso e il più possibile inclusivo, in luogo di quello solo lineare ed escludente (dominante), ci accorgiamo che le sfide che dobbiamo affrontare necessitano di un governo politico che sappia tenere in conto le sorprese della storia nella interrelazione delle crisi.
Il discorso è estremamente ampio e merita di essere affrontato in progress con lo spirito di una ricerca aperta e informale.
L’ispirazione per questo editoriale mi è venuta da una riflessione di Richard Haass, Presidente del Council on Foreign Relations. Non concordo del tutto con la sua visione ma il tema del ritorno della storia è decisivo.
Gli ultimi decenni, dalla caduta del muro di Berlino a oggi, sono stati anni di profonda illusione. Anni a-politici, lo abbiamo già notato, nei quali le classi dirigenti hanno sostanzialmente seguito, senza visione politica, l’onda di un mondo che andava riconfigurandosi in termini di rapporti di potere. Ciò che è mancato, in termini complessi, è stata una direzione che superasse gli inevitabili interessi nazionali. In assenza di direzione, lo vediamo chiaramente oggi, gli interessi nazionali si sono pericolosamente radicalizzati.
A ciò si aggiunga che siamo nel pieno di una megacrisi de-generativa. Le crisi non aspettano le risposte di una comunità internazionale che non c’è se non come sommatoria d’interessi particolari. Dopo la fine dell’equilibrio bipolare, l’investimento politico sul ‘mondo-uno’ è stato fragilissimo e, non a caso, oggi ci troviamo in una condizione d’instabilità e d’insostenibilità.
Pare anti-storico, oggi come oggi, parlare di ‘multilateralismo’. Il sistema internazionale, ancora molto novecentesco, non tiene sostanzialmente conto di un ambiente strategico che è profondamente cambiato: le divisioni e le disuguaglianze sono la cifra del nostro tempo, così come una rivoluzione tecnologica che tutto trasforma (dalle nostre vite fino alle relazioni internazionali).
Occorre lavorare sulla formazione di nuove classi dirigenti. Occorre agire in fretta, recuperando uno spirito politico che sia adeguato alle dinamiche storiche che viviamo, e che vivremo. Dobbiamo scrivere culturalmente e politicamente la parola ‘fine’ al ‘900: prima che la realtà ci travolga completamente.
English version
Leaving in the background the chronicles of foreign interference and corruption that now concern the European Parliament (in an investigation that is bound to widen), we are interested in exploring the question of the ‘return of history’. Perhaps we have reached the ‘end of the end of history’.
Let me say at the outset that this is a political discourse, here understood as a discourse of necessary political-strategic vision of the world in which we live. If we use a complex thought that is as inclusive as possible, instead of the only linear and exclusionary (dominant) one, we realise that the challenges we face require a political government that is able to take into account the surprises of history in the interrelation of crises.
The discourse is extremely broad and deserves to be approached in progress in the spirit of open and informal research.
The inspiration for this editorial came to me from a reflection by Richard Haass, President of the Council on Foreign Relations. I do not entirely agree with his view but the theme of the return of history is decisive.
The last decades, from the fall of the Berlin Wall to the present, have been years of profound illusion. A-political years, we have already noted, in which the ruling classes have essentially followed, without political vision, the wave of a world that was reconfiguring itself in terms of power relations. What was lacking, in complex terms, was a direction that went beyond the inevitable national interests. In the absence of direction, we see it clearly today, national interests have become dangerously radicalised.
Add to this the fact that we are in the midst of a de-generational mega-crisis. Crises do not wait for responses from an international community that is not there except as a summation of special interests. After the end of the bipolar equilibrium, the political investment in the ‘one-world’ was very fragile and, not by chance, today we find ourselves in a condition of instability and unsustainability.
It seems anti-historical, today, to speak of ‘multilateralism’. The international system, still very twentieth-century, does not substantially take into account a strategic environment that has profoundly changed: divisions and inequalities are the hallmark of our times, as is a technological revolution that transforms everything (from our lives to international relations).
We need to work on the formation of new ruling classes. We need to act quickly, recovering a political spirit that is appropriate to the historical dynamics that we are living, and will live. We must culturally and politically write the word ‘end’ to the 20th century: before reality overwhelms us completely.