Nella grande trasformazione in atto, molti sono i rischi che dobbiamo affrontare: e non possiamo più farlo in maniera separata, come ancora – drammaticamente – accade. E’ la de-generazione della politica (in minuscolo).
Vi sono rischi sistemici, potremmo dire settoriali, come quelli riassunti riprendendo l’ultimo rapporto del think tank Eurasia Group. Ma vi è un rischio che vorremmo approfondire e che, secondo noi, condiziona inevitabilmente e profondamente il tempo che viviamo. E’, in sintesi, il rischio del pensiero che non rischia.
Mentre tutto intorno a noi si trasforma, non basta più dire che cambia, il nostro pensiero – come approccio alla Storia – rimane lineare. Pensiamo ancora di continuare a separare per influenzare e/o dominare, di imporre il principio di ‘non contraddizione’, di dividere il mondo tra bene e male, di definire Verità di parte, di non porre al centro della grande trasformazione la rivoluzione tecnologica. Insomma, pensiamo di negare la complessità del reale.
Il pensiero lineare ci imprigiona, illudendoci di essere liberi (massimo auto-inganno), in un ‘presente imminente’. Ed è in questo tempo fermo, che non si nutre di esperienza e non si cala nell’oltre (futuro già presente), che progressivamente de-generiamo.
La politica è immediata, ed è la sua morte. La mediazione è diventata compromesso, la visione è assente. Vince la linearità, si consumano le analisi e gli scenari. Ma servono, come l’aria, mediazioni e visioni. E il messaggio deve valere per tutti, qualunque siano l’appartenenza politica e generazionale e la classe sociale. Certo, vorremmo parlare con maggiore intensità ai ragazzi più giovani, invitandoli a non cadere nell’inganno del lineare a ogni costo.
Il pensiero che rischia è pensiero nell’oltre, complesso, creativo, libero. Il resto, anche se venduto bene, è ripetizione ossessiva dell’esistente. Abbiamo la responsabilità di ri-tornare a pensare rischiando per ri-trovare quel ‘vincolo’ naturale che ci tiene insieme come umanità sul pianeta.