(di Marzia Giglioli)
‘L’UE ci tratta male’, ha detto Trump a Davos. Una dichiarazione forte, apparentenente inattesa in cui molti hanno individuato i ‘passi’ graduali di un anti-eupeismo americano.
Gia il voto di novembre aveva aperto riflessioni complesse sui nuovi equilibri transatlantici, era stato il campanello d’allarme più forte. E’ pur vero che Trump punta a un revisionismo economico, lanciando avvisi agli alleati e al resto del mondo con uno stile ‘secco’ e certamente meno diplomatico rispetto ai suoi predecessori. E’ soprattutto vero che Trump interpreta un atteggiamento ‘antitetico’ che si discosta dalle empatie finora narrate come perfette all’interno del fronte occidentale. Per comprendere questo essere ‘anti’ bisogna partire ‘da lontano’, per ‘avvicinarsi’ alle risposte di un’America che sembra sempre più isolata dentro se stessa.
L’America è cambiata, almeno per come noi crediamo di conoscerla, ma ancora di più gli americani sono cambiati rispetto a loro stessi.
Già a novembre, di fronte all’esito elettorale, i democratici più critici hanno riconosciuto il proprio ‘autoinganno’ ma anche i repubblicani devono arare su un terreno profondo e di confronto su ciò che erano e ciò che sono.
Bisogna entrare soprattutto nell’insoddisfazione e nel male sociale che e’ cresciuto esponenzialmente in questi anni (almeno negli ultimi dieci) e che fa i conti con un logorato American Dream che oggi Trump cerca di ricostruire con ‘America first’.
Gli americani, dicono le statistiche, sono diventati gradualmente più tristi, delusi e solitari e la loro rabbia sale. La percentuale di persone che affermano di non avere amici intimi è aumentata di quattro volte rispetto agli Anni “90 . Gli americani di età compresa tra 25 e 54 anni che non sono sposati, o che non vivono con un partner stabile, sono attualmente il 38%. Il 25% di quarantenni dichiara oggi di non essersi mai sposato. Ma quello che colpisce di più è che oltre la metà degli americani afferma che ‘nessuno li conosce bene’.
Emerge un quadro triste di ‘non relazione sociale’ dove lo scontro sembra essere lo sbocco inevitabile.
‘Ma davvero gli americani sono diventati cattivi?’. Se lo è chiesto provocatoriamente David Brooks che ha raccolto negli anni una serie di interviste tra i lavoratori americani che spiegano come le reazioni violente si stiano moltiplicando, registrando sempre di più comportamenti crudeli. Un’infermiera di un ospedale riferisce che molti del suo staff stanno lasciando la professione, perché i pazienti sono diventati violenti. Intanto i crimini d’odio segnano nel 2020 (ultimo dato aggiornato) il livello più alto degli ultimi 12 anni.
‘La fiducia sociale sembra davvero che stia crollando. Siamo invischiati in una sorta di crisi emotiva, relazionale e spirituale, che riguarda la nostra disfunzione politica e la crisi generale della nostra democrazia, scrive Brooks.
E’ su questo che la politica americana dovrà misurarsi e trovare nuovi strumenti, sia da parte dei vincitori che dei vinti. Il Trump di Davos non sembra certo andare in questa direzione.