(Marzia Giglioli)
La gara è di quelle importanti e non si può restare indietro: riguarda i semiconduttori, i chip e i microchip. Qualcuno l’ha battezzata ancora più sinteticamente la ‘guerra dei microchip’. Un anno fa, sul palco dell’IFA di Berlino, Chris Miller – professore alla Tufts University di Boston – non ha usato mezzi termini per spiegare la questione alla quale ha dedicato tempo fa il saggio ‘Chip War: The Fight For The World’s Most Critical Technology’, definito libro economico dell’anno 2022 dal Financial Times.
‘Non si tratta di una semplice competizione tra aziende tecnologiche per il controllo del mercato’ – ha detto Miller – ‘ma di una lotta senza quartiere in corso tra le Nazioni per assicurarsi la disponibilità di chip, microchip e dei materiali semiconduttori che servono per produrli. Un conflitto silenzioso, che vede in prima linea Stati Uniti, Giappone, Corea, Taiwan e Paesi Bassi (cioè gli unici 5 Paesi che insieme costituiscono la lunghissima filiera per produrre i microchip più avanzati)’. L’Europa, con la pandemia, ha scoperto la sua estrema fragilità e dipendenza dai produttori di chip globali e dalle tecnologie chiave di proprietà di aziende cinesi e statunitensi e pensa ora ai rimedi. Dell’altro ieri la notizia che la Gran Bretagna si unirà all’Unione Europea per sviluppare e produrre semiconduttori avanzati in Europa, stanziando 35 milioni di sterline (45 milioni di dollari) per un fondo per la ricerca e l’innovazione che prevede 1,3 miliardi di euro (Reuters). Sia la Gran Bretagna che l’UE puntano a garantire una catena di forniture nazionali di semiconduttori.
A gennaio, la Commissione Europea ha presentato un pacchetto di iniziative per garantire la sicurezza economica del settore e per prevenire trasferimenti tecnologici ‘indesiderati’ provenienti da soggetti rivali come la Cina.
(riproduzione autorizzata citando la fonte)