(Marco Emanuele)
Mentre la Storia corre, dentro continue direzioni inattese, noi la viviamo nell’incapacità di comprenderla.
Le grandi questioni del nostro tempo (ci) trasformano mentre l’a-politica imperversa come scena finale di un ‘900 che non passa nelle nostre teste.
Pensiamo alla questione climatica, alla involuzione delle ‘società aperte’, alla rivoluzione tecnologica e alla persistenza (in noi) del ‘male banale’. Sono temi che richiederebbero nuove mediazioni e visioni complesse mentre l’a-politica li affronta attraverso giochi di posizione. Non ci interessa entrare nel dibattito pubblico, peraltro disarmante, ma cogliere un punto non più eludibile.
Se la realtà è complessa, anche il pensiero dovrebbe diventarlo e, di conseguenza, la decisione strategica. Ma siamo lontani: tutto sembra giocarsi su compromessi difficilmente sostenibili, inutili quanto dannosi perché non rendono ‘giustizia’ dei rischi esistenziali nei quali siamo immersi. Policrisi de-generativa e guerra come ‘arena planetaria’ docet.
E’ tutto un ‘si, ma …’. Se non vi è dubbio che occorra governare la transizione (praticamente in tutti gli ambiti), ciò che manca è la profondità di una consapevolezza ‘sentimentale’. Mentre l’a-politica crede di governare la complessità dei processi storici, ne è governata. Bel paradosso, auto-inganno, pericoloso.
La connessione ‘sentimentale’ nella Storia non è fattore romantico bensì strategico o, per meglio dire e radicandoci nei ‘dove’ dell’esperienza umana, geostrategico. Restiamo in superficie, convinti di toccare la radice profonda di ciò che accade. Ma siamo fragili, navigatori in mare aperto e attenti alla parte evidente dell’iceberg: eppure il pericolo è in ciò che non si vede, sommerso, anima della Storia.
(English version)
While History runs in continuous unexpected directions, we live it in the inability to understand.
The great questions of our time transform (us) while a-politics rages as the final scene of a 20th century that does not pass through our heads.
Let’s think about the climate issue, the involution of ‘open societies’, the technological revolution and the persistence (in us) of the ‘banal evil’. These are issues that would require new mediations and complex visions while a-politics addresses them through positional games. We are not interested in entering into the public debate, which is disarming, but in highlighting a point that can no longer be avoided.
If reality is complex, thinking should also become so and, consequently, strategic decisions. But we are far away: everything seems to be based on compromises that are difficult to sustain, as useless as they are harmful because they do not do ‘justice’ for the existential risks in which we are immersed. Degenerative polycrisis and war as a ‘planetary arena’ docet.
It’s all ‘yes, but…’. If there is no doubt that it is necessary to govern the transition (practically in all areas), what is missing is the depth of a ‘sentimental’ awareness. While a-politics believes it governs the complexity of historical processes, it is governed by them. Nice paradox, self-deception, dangerous.
The ‘sentimental’ connection in History is not a romantic factor but a strategic one or, to put it better and rooting us in the ‘where’ of human experience, geostrategic. We remain on the surface, convinced that we are touching the deep root of what is happening. But we are fragile, navigators on the open sea and attentive to the evident part of the iceberg: yet the danger is in what cannot be seen, submerged, the soul of History.
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