(Marco Emanuele)
L’oltre è in noi. Se è giusto volere la stabilità, attenzione all’inganno.
Tutti ricordano Kissinger, ognuno dal suo punto di vista, per esperienze vissute o per posizioni radicalizzate (pro/contro). Nel riconoscere all’uomo il talento di una volontà mai sopita di capire le transizioni e le trasformazioni che il mondo vive, Kissinger ci sembra l’ultimo alto rappresentante della strategia della stabilità a ogni costo. Fino allo destabilizzare per ottenere la stabilità.
Stabilità e certezza sono parole di cui abbiamo bisogno. Chi, infatti, può negarne il valore, chi può dire di non volere una vita stabile che si fondi su certezze acquisite che garantiscano la tranquillità e il benessere ? Il problema, come sempre, è nella loro esasperazione.
Siamo naviganti in un mare d’incertezza ma il nostro pensiero sembra voler cancellare il fatto che le partite strategiche che si stanno giocando nel mondo ci appartengano intimamente, che siano parte della nostra stessa vita. Ecco, dunque, che la ‘stabilità per la stabilità’ non basta più, non risolve in prospettiva, acquieta gli animi nell’imminenza, non guarda oltre. Il mare d’incertezza è popolato da una policrisi de-generativa e attraversato dalla guerra come ‘arena planetaria’, nonché profondamente condizionato dalla rivoluzione tecnologica (Kissinger lo aveva capito benissimo, scrivendo – quasi un testamento strategico – d’intelligenza artificiale).
La stabilità diventa inganno, e auto-inganno, laddove non viene problematizzata in noi come parte di quella ‘metanoia’ (profonda trasformazione) tante volte richiamata (‘pensiero complesso’ docet). Mentre il ‘900, tempo di massima espressione del Kissinger ‘di Stato’, ci ha lasciato, il nostro pensiero ancora (forse, più di prima) si nutre di linearità, di separazione, di estrema competizione, fino alla negazione. Mentre ci culliamo nella stabilità, ciò che si discute a Dubai (COP28) e l’umanità che soffre e muore nell’ ‘arena planetaria’ ci mettono di fronte a un interrogativo non più eludibile: come ripensare il rapporto tra il potere (quale potere ?), la Storia e le storie ? La riflessione continua …
(English version)
The beyond is within us. If it is right to want stability, beware of deception.
Everyone remembers Kissinger, each from an original point of view, for lived experiences or for radicalized positions (for/against). In recognizing man’s talent for a never-dormant desire to understand the transitions and transformations that the world is experiencing, Kissinger seems to us to be the last high representative of the strategy of stability at all costs. To the point of destabilizing to achieve stability.
Stability and certainty are words we need. Who, in fact, can deny its value, who can say that not want a stable life that is based on acquired certainties that guarantee tranquility and well-being? The problem, as always, is in their exasperation.
We are sailing in a sea of uncertainty but our thoughts seem to want to erase the fact that the strategic games being played in the world belong intimately to us, that they are part of our lives. Here, therefore, ‘stability for stability’s sake’ is no longer enough, it does not resolve things in perspective, it calms minds in the imminence, it does not look beyond. The sea of uncertainty is populated by a de-generative polycrisis and crossed by war as a ‘planetary arena’, as well as profoundly conditioned by the technological revolution (Kissinger had understood this very well, writing – almost a strategic testament – about artificial intelligence).
Stability becomes deception, and self-deception, where it is not problematized in us as part of that ‘metanoia’ (profound transformation) mentioned so often (‘complex thinking’ docet). While the 1900s, the time of maximum expression of ‘State’ Kissinger, has left us, our thinking still (perhaps more than before) feeds on linearity, separation, extreme competition, to the point of denial. While we cradle ourselves in stability, what is being discussed in Dubai (COP28) and the humanity that suffers and dies in the ‘planetary arena’ put us face to face with a question that can no longer be avoided: how to rethink the relationship between power (which power ?), History and stories ? The reflection continues…
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