Tutti dovremmo augurarci che il “felpato” movimento cinese rispetto alla guerra in Ucraina funzioni (dopo gli innumerevoli tentativi che ci hanno portato al termine del primo anno d’invasione). Avvolto nel mistero, il piano cinese si cala in una situazione di crescente complessità e, soprattutto, in un mondo nel quale i focolai di radicalizzazione conflittuale si moltiplicano.
Per quanto ovvio, l’intervento cinese presenterà un conto: e sarà diviso tra tutti i player globali. Al di là di questo, perchè come sappiamo la pace è spesso frutto di compromessi, c’è un tema caro a Pechino: la sostenibilità politico-strategica del mondo.
La Cina ha bisogno, per sue ragioni, di un mondo relativamente stabile. Oggi, lo vediamo ogni giorno di più, siamo in una situazione che non presenta alcuna situazione pacificata. Mondo in subbuglio, non va bene per la soddisfazione degli interessi nazionali, soprattutto della seconda (per ora) potenza del pianeta. C’è in gioco quella sostenibilità politico-strategica che i “lineari” continuano a chiamare “ordine globale” e che noi preferiamo guardare come la dinamicità di un mondo in (costretta) ri-cerca di un “oltre” che tenti di ri-congiungere gli opposti.
Il gioco grande, nella guerra grande, è quello della ri-composizione del potere e dei poteri. Mediare, in questa fase, è operazione davvero ardua: tutti, infatti, mettono davanti alle possibili soluzioni la loro stessa esistenza. Ci auguriamo che, da quel tavolo corto derubricato a fiducia (ricordiamo il tavolo lungo di “macroniana” memoria), emerga una luce. Dalle ragioni morali a quelle geostrategiche, infatti, è venuto il tempo di un radicale cambio di passo.