Medio Oriente. C’è chi vuole un conflitto regionale ma non sappiamo chi è / Middle East. Someone wants a regional conflict but we don’t know who

(Carlo Rebecchi) 

L’incubo dal primo momento sullo sfondo della guerra scatenata da Hamas a Israele – l’allargamento dell’aggressione in un conflitto regionale – si è ingigantito fino a diventare, con il passare dei giorni e delle settimane, il problema decisivo. Prima la violenza cieca del 7 ottobre, gli ebrei rapiti e uccisi, quindi la risposta israeliana con oltre 20.000 vittime (dati palestinesi) a Gaza. Poi, martedì  l’uccisione a Beirut di Saleh al-Arouri e, il giorno dopo, la strage, una sessantina di morti, in Iran.
Un crescendo di violenza che non può rimanere senza una conclusione – un conflitto regionale? – perchè – come ha scritto Ugo Tramballi sul “Sole 24 Ore”, interrogandosi su chi possa avere interesse ad allargare il conflitto, una “sola cosa è certa: a Teheran sono state massacrate più di cento persone e qualcosa accadrà”. In ogni caso è evidente che “siamo ad una fase nuova della guerra”, afferma Chuck Freilich dell’ Institute for National Security Studies di Tel Aviv.
Dal 7 ottobre, ogni semplice sparo, dentro o intorno alla Striscia, è stato preso come il segnale dell’imminenza di uno scontro che avrebbe infiammato tutto il Medio Oriente. Ora, la “scena del crimine” è sotto gli occhi di tutti. Prima l’attentato contro al-Arouri, numero due di Hamas e il giorno dopo il massacro alle porte di Teheran, a giudizio di Tramballi “sembrano una prova tanto palese da sembrare finta: un leader, un governo, un gruppo di oppositori, un’organizzazione, qualcuno vuole davvero far esplodere la regione?”.
A prima vista si direbbe di sì, almeno sulla base di quanto accade sul terreno. Il punto di domanda fondamentale – chi vuole la guerra ? – è per il momento senza risposta. Nessuno sembra in grado di capirlo. L’ uccisione di al-Arouri è attribuita in automatico (se non altro per lo “stile Mossad”) agli israeliani, che pure hanno detto di non saperne nulla. Nemmeno il massacro in Iran è stato finora rivendicato. Gli USA (in un anno elettorale non vogliono la guerra) e Israele (non hanno mai fatto stragi) non sembrano sospettabili. Qualcuno avanza l’ipotesi Isis, altri additano rivalità che ci sarebbero all’interno della leadership di Teheran.
Guido Olimpio sottolinea, sul “Corriere della sera”, che gli ultimi attentati hanno “un punto in comune: l’obiettivo è l’Asse della Resistenza, lo schieramento guidato dall’Iran e composto da un ventaglio di fazioni mediorientali”, tra cui Hezbollah in Libano e Houthi nello Yemen. Per la quasi totalità degli analisti, l’Iran non vuole una guerra che lo porterebbe inevitabilmente a scontrarsi con gli Stati Uniti. Teheran lascerebbe quindi libere le milizie “amiche” di capitalizzare al meglio il momento anti-israeliano che il Medio Oriente vive dopo il 7 ottobre, attenta – però – che non superino il limite che scatenerebbe la guerra.
E’ in sostanza quanto pensa il professor Freilich quando parla di “nuova fase” della guerra contro Hamas. “La prima è stata la risposta immediata. La seconda è stata la guerra intensiva su larga scala con le operazioni di terra a Gaza”. “Ora”- ha spiegato al Corriere del Ticino di Lugano – “penso che stiamo iniziando la terza fase, che vedrà un livello inferiore di ostilità, ma operazioni più mirate, e per un lungo periodo. Non per conquistare più territorio. Si tratterà di trovare i leader, eliminarli, distruggere i tunnel, e questo sarà comunque significativo”.
Sembra quasi l’annuncio di una fase di incertezza permanente nella quale ci sarebbero le condizioni per una guerra continua, ora palese ora strisciante, attraverso attentati e agguati, eventi chiari ed altri ambigui, operazioni speciali e provocazioni, incluse iniziative realizzate sul momento senza però assumersene la responsabilità.

(English version)

The nightmare from the first moment against the backdrop of the war unleashed by Hamas on Israel – the expansion of aggression into a regional conflict – has grown to become, with the passing of days and weeks, the first problem. First the blind violence of October 7, the Jews kidnapped or killed, then the Israeli response with over 20,000 victims (Palestinian data) in Gaza. Then, on Tuesday, the killing of Saleh al-Arouri in Beirut and the day after the massacre, around sixty deaths, in Iran. A crescendo of violence that cannot remain without a conclusion – a regional conflict? – because – as Ugo Tramballi wrote in the “Sole 24 Ore”, wondering who might have an interest in widening the conflict, “only one thing is certain: more than a hundred people have been massacred in Tehran and something will happen”. In any case it is clear that “we are at a new phase of the war”, says Chuck Freilich of the Institute for National Security Studies in Tel Aviv. Since October 7, every simple gunshot, in or around the Strip, has been taken as a sign of the imminence of a clash that would inflame the entire Middle East. Now the “crime scene” is there for all to see. First the attack against al-Arouri, number two of Hamas and the day after the massacre at the gates of Tehran, in Tramballi’s opinion “seem to be evidence so clear as to seem fake: a leader, a government, a group of opponents, a organization, does anyone really want to blow up the region?”. At first glance we would say yes, at least based on what is happening on the ground. The fundamental question mark – who wants war? – is for the moment unanswered. Nobody seems to be able to understand it. The killing of al-Arouri is automatically attributed (if only for the “Mossad style”) to the Israelis, even though they said they knew nothing about it. Not even the massacre in Iran has so far been claimed. The USA (in an election year they don’t want war) and Israel (they have never committed massacres) do not seem suspect. Some put forward the ISIS hypothesis, others point to rivalries that exist within Tehran’s leadership. Guido Olimpio underlines in the “Corriere della Sera” that the latest attacks have “one point in common: the objective is the Axis of the Resistance, the group led by Iran and composed of a range of Middle Eastern factions”, including Hezbollah in Lebanon and Houthis in Yemen. For almost all analysts, Iran does not want a war that would inevitably lead it to clash with the United States. It would therefore leave the “friendly” militias free to capitalize as best they could on the anti-Israeli moment that the Middle East is experiencing after October 7, but be careful that they do not exceed the limit that would trigger war. This is essentially what Professor Freilich thinks when he talks about the “new phase” of the war against Hamas. “The first was the immediate response. The second was the large-scale intensive warfare with ground operations in Gaza. Now – he explained to Corriere del Ticino in Lugano – I think we are starting the third phase, which will see a lower level of hostility, but more targeted operations, and for a long period. Not to conquer more territory. It will be about finding the leaders, eliminating them, destroying the tunnels, and that will still be significant”. It almost seems like the announcement of a phase of permanent uncertainty in which there would be the conditions for a continuous war, sometimes obvious, sometimes creeping, through attacks and ambushes, clear and other ambiguous events, special operations and provocations, including initiatives carried out on the spot but without take responsibility for it.

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