Ci muoviamo nel progresso tra luci e ombre, che sono le nostre. L’ordine del mondo e dei mondi contiene il disordine, così come il progresso contiene il regresso: queste dimensioni appartengono alla realtà perché, prima di tutto, ci appartengono in quanto “soggetti agenti”.
Ogni riflessione sul progresso è parte della riflessione nella condizione umana nella realtà che evolve-involve. Ciò che dovrebbe essere scontato, che nel cambio di era occorra avere visioni sistemiche nella continua mediazione dei rapporti di potere, non lo è affatto per la nostra conclamata abitudine ad utilizzare paradigmi consumati, ereditati da un ‘900 che, almeno culturalmente, non passa.
Adottare il paradigma della complessità, tenendo insieme luci e ombre del progresso, chiede una profonda trasformazione. Particolarmente oggi, che la tecnologia offre sempre di più soluzioni tempestive a pressoché ogni nostra difficoltà (garanzia di efficienza), le ragioni profonde dell’umano ri-emergono (emergono continuamente).
La risposte alle sfide poste dal cambio di era non possono più venire né da un pensiero acquiescente rispetto alla traiettoria lineare di un laissez-faire guidato da qualsivoglia “mano invisibile” né da un pensiero antagonista che, scegliendo lo scontro diretto con il potere (comunque esso si presenti), ha il fine di costituirne un altro in competizione. Il paradigma della complessità, nel paradosso tra la dinamicità del cambio di era e la staticità del pensiero (che genera inadeguatezza decisionale e de-generazione strutturale), può liberarci dall’auto-inganno nel quale ci stiamo progressivamente e pericolosamente imprigionando. Come possiamo diventare liberi nella responsabilità ? E cosa significa essere responsabili nel tempo che viviamo ?
Dentro un progresso contraddittorio, complesso in essenza ma da noi interpretato e vissuto in maniera solo lineare e competitiva, anziché esercitarci nella pace-come-politica continuiamo a porre le condizioni per la deflagrazione della prossima crisi e per la preparazione della prossima guerra. Non affrontiamo il tema della progressiva fragilità dei legami comunitari che genera separazione, scarto ed esclusione.
Prima con la democrazia, e oggi con la tecnologia, affidiamo poteri pressoché magici a processi che dovrebbero indicarci direzioni che teniamo disincarnate dalla realtà. Le dimensioni dall’alto e nel profondo viaggiano separate, come se ciascuna fosse titolare di un destino che sembra indipendente dall’altra. Le luci del progresso, nell’indicarci le strade dell’oltre, diventano ombre, e rischio, laddove non si accompagnano a una pace-come-politica come frontiera della politica stessa. Il tema delle “periferie esistenziali”, più volte evocato da Papa Francesco, ci dice che la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi non passa più da un ordine del quale cerchiamo insistentemente un centro bensì da un radicale ri-pensamento dell’ordine stesso.
(English version)
We move in progress between lights and shadows, which are our own. The order of the world and of worlds contains disorder, just as progress contains regress: these dimensions belong to reality because, first and foremost, they belong to us as ‘acting subjects’.
Any reflection on progress is part of the reflection on the human condition in the reality that evolves-involves. What should be taken for granted, that in the change of era is necessary to have systemic visions in the continuous mediation of power relations, is not at all so because of our proclaimed habit of using worn-out paradigms, inherited from a 20th century that, at least culturally, does not pass.
Adopting the paradigm of complexity, holding together the lights and shadows of progress, calls for a profound transformation. Particularly today, when technology increasingly offers timely solutions to almost all our difficulties (a guarantee of efficiency), the profound reasons of the human re-emerge (continuously emerge).
The answers to the challenges posed by the change of era can no longer come either from a thought acquiescent to the linear trajectory of a laissez-faire guided by any ‘invisible hand’ or from an antagonistic thought that, by choosing direct confrontation with power (however it presents itself), aims to constitute another in competition. The paradigm of complexity, in the paradox between the dynamism of era change and the static nature of thought (which generates decision-making inadequacy and structural de-generation), can free us from the self-deception in which we are progressively and dangerously imprisoned. How can we become free in responsibility? And what does it mean to be responsible in the times we live in?
Within a contradictory progress, complex in essence but interpreted and experienced by us only in a linear and competitive manner, instead of practising peace-as-politics we continue to set the conditions for the deflagration of the next crisis and the preparation of the next war. We do not address the progressive fragility of community ties that generates separation, discard and exclusion.
First with democracy, and today with technology, we entrust almost magical powers to processes that should point us in directions that we keep disembodied from reality. The dimensions above and below travel separately, as if each holds a destiny that seems independent of the other. The lights of progress, in pointing us to the roads beyond, become shadows, and risk, where they are not accompanied by a peace-as-politics as the frontier of politics. The theme of the ‘existential peripheries’, repeatedly evoked by Pope Francis, tells us that the political-strategic sustainability of the world and worlds no longer passes through an order of which we insistently seek a centre, but through a radical re-thinking of the order itself.
Il Manifesto della Società 5.0
Riflessioni collegate
Bussola geostrategica e rischio esistenziale – Geostrategic compass and existential risk
Bussola geostrategica. Bibliografia in progress