(Marco Emanuele)
Abbiamo già scritto come – per elaborare realistiche strategie europee verso l’Africa – occorra capovolgere il mappamondo.
Ha ragione Marzia Giglioli nel sostenere che occorra superare la logica coloniale (ante e post), dell’uomo bianco al centro della Storia e, aggiungiamo, la pratica dell’ ‘elemosina’. Il mondo ha bisogno di percorsi di nuovo realismo.
Se provassimo a capovolgere il mappamondo, infatti, vedremmo immediatamente come lavorare con l’Africa significhi lavorare per l’Europa. Il tema è complesso e la sfida è decisamente ardua: si pensi soltanto alla questione demografica. L’Africa è terra di grandi opportunità ma anche di grandi conquiste (Russia, Cina ma non solo), tuttora in corso, e di gravi crisi (laboratorio della ‘policrisi’ planetaria). Non servono più né operazioni di dominio né inutili discorsi moralistici di chi pensa ancora al ricco che distribuisce banconote ai ‘sudditi’ indigenti (chiunque sia il ricco e chiunque siano i ‘sudditi’).
La buona volontà dei Paesi, Italia compresa, che immaginano ‘piani’ nazionali verso l’Africa è da seguire con attenzione: non vi è dubbio che le ragioni di uno sviluppo autoctono, duraturo e sostenibile siano le uniche possibili. Non vi è dubbio che una tale operazione di proiezione verso sud debba vedere insieme istituzioni e grandi imprese. Ma non possiamo non notare come l’unica dimensione possibile sia quella europea. Il Vecchio Continente, infatti, non ha altra via di uscita strategica che guardare all’Africa: la sua autonomia passa attraverso nuovi dialoghi (pragmatici) euro-africani. Non replicando i fallimenti della politica euro-mediterranea degli ultimi decenni.
Oltre a tutto questo, e prima di tutto questo, dobbiamo lavorare sulle parole e individuare paradigmi complessi che ci aiutino a uscire dalla (molto) radicata abitudine a pensarci padroni della Storia (soprattutto di quella degli altri). Sarebbe necessario, oltre che conveniente, calarci senza separazioni partitiche in una sfida che riguarda la nostra stessa sopravvivenza di europei non più dominanti. Non per tornare a esserlo ma per (ri)trovare un ruolo strategico come portatori sani di ‘alte’ mediazioni e di realistiche visioni storiche: nell’unico interesse della sostenibilità strategica del pianeta.
(English version)
We have already written how – to develop realistic European strategies towards Africa – it is necessary to turn the world map upside down.
It is necessary to overcome the colonial logic (ante and post), of the white man at the center of history and, we add, the practice of ‘almsgiving’. The world needs paths of new realism.
In fact, if we tried to turn the world map upside down, we would immediately see how working with Africa means working for Europe. The topic is complex and the challenge is decidedly arduous: just think of the demographic issue. Africa is a land of great opportunities but also of great achievements (Russia, China but not only), still ongoing, and of serious crises (laboratory of the planetary ‘polycrisis’). There is no longer any need for operations of domination or useless moralistic discourses of those who still think of the rich man distributing banknotes to the poor ‘subjects’ (whoever the rich man is and whoever the ‘subjects’ are).
The good will of the countries, including Italy, that imagine national ‘plans’ towards Africa must be followed carefully: there is no doubt that the reasons for indigenous, long-lasting and sustainable development are the only possible ones. There is no doubt that such a projection operation towards the south must bring together institutions and large companies. But we cannot fail to notice that the only possible dimension is the European one. The Old Continent, in fact, has no other strategic way out than to look to Africa: its autonomy passes through new (pragmatic) Euro-African dialogues. Not replicating the failures of the Euro-Mediterranean policy of recent decades.
In addition to all this, and before all this, we must work on words and identify complex paradigms that help us get out of the (very) deep-rooted habit of thinking of ourselves as masters of History (especially that of others). It would be necessary, as well as convenient, to immerse ourselves without party divisions in a challenge that concerns our very survival as Europeans who are no longer dominant. Not to become one again but to (re)find a strategic role as healthy bearers of ‘high’ mediations and realistic historical visions: in the exclusive interest of the strategic sustainability of the planet.
(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)