USA. Una donna riuscirà mai ad arrivare alla Casa Bianca ?

(Marzia Giglioli)

Riflessioni su “l’uomo forte” al comando, leadership e democrazie

Nikki Haley esce di scena ed abbandona la corsa alla Casa Bianca. E’ stata la prima grande candidata a sfidare Donald Trump per la nomina presidenziale repubblicana ed è diventata l’ultima a dimettersi.

L’ex governatore della Carolina del Sud, dichiarando la sua uscita dalla campagna, ha aperto ulteriormente la strada a Donald Trump, che diventa il solo portabandiera repubblicano.

Ancora una volta un candidato donna non riesce ad andare avanti e ricordarlo oggi può sollecitare qualche domanda in più: oltre a registrare il destino elettorale dell’ultimo Super Tuesday, coinvolge il modello sulla leadership americana, sulla tendenza sempre più diffusa dell’ ‘uomo forte al comando’ anche in un Paese democratico come gli States.

L’ascesa al potere di uomini forti in molti Paesi sembra un fenomeno quasi inarrestabile.e coinvolge sempre più democrazie nel mondo. Una sequenza che raramente si è osservata nella storia recente come ha scritto nell’ultimo suo libro Gideon Rachman, capo commentatore degli affari esteri del Financial Times.

E così, più si radicalizzano gli scontri (Est vs Ovest), più si accentuano le sfide frontali, più le leadership diventano rigide, meno complesse e diventano insostituibili, perché altro o ‘andare oltre’ diventa rischioso.

I modelli sono decisivi e quelli mentali lo sono ancora di più soprattutto quando diventano tendenza e quando non risparmiano nessuno.

A questo punto sarebbe interessante indagare: cosa si attribuisce a una leadership in un Paese come l’America ?

La risposta si avrà con le presidenziali di novembre. Ma oggi, 8 marzo, ci limitiamo a cercare di capire cosa frena le carriere e le leadership femminili in America. Se lo sono chiesto anche tre editorialiste del New York Times che hanno tracciato un quadro analizzando i settori di punta (politica, aziende e finanza).

Innanzitutto gli stereotipi di genere negli ambienti di lavoro sono mostri difficili da abbattere, ovunque.

Nonostante i chiari vantaggi che le donne hanno tratto nel corso dei decenni negli States, il loro progresso sul posto di lavoro sembra essersi fermato, tanto che il numero degli amministratori delegati donna nelle aziende Fortune 500 è del 5% ed è diminuito in questi ultimi anni del 25%.

Come in Italia, le donne negli Stati Uniti si laureano di più degli uomini, eppure devono ancora lavorare quattro mesi in più per guadagnare quello che i loro colleghi maschi bianchi hanno guadagnato l’anno precedente, stando ai dati forniti nell’ultimo censimento USA. Ad ostacolare i maggiori passi avanti delle donne è banalmente, ma pesantemente, ‘una questione di stile’ (di leadership) .

Innazitutto, per molto tempo, alle donne è stato insegnato a ‘comportarsi da uomini’ per fare carriera sul lavoro. E cosi, negli anni, esse hanno ‘copiato’ qualità che sembravano caratterizzare i leader di successo come autorità, decisione, grinta. Ma come tutte le copie sono sfocate rispetto all’originale e quindi meno forti.

Intanto, sempre secondo il New York Times, una nuova generazione di donne leader sta invece cercando di rovesciare le vecchie concezioni puntando a una nuova empatia e collaborazione, e rifiutando di sopprimere le qualità che le rendono ciò che sono, ma è un modello ancora da sperimentare e crea in molti i dubbi sulla sua efficacia.

Ma è anche vero che le donne quando mostrano tratti caratteriali tipicamente associati alla leadership maschile – come decisionismo, autorità o assertività – possono essere viste come prepotenti o troppo aggressive. Invece, quando le donne mostrano le caratteristiche che tradizionalmente ci si aspetta da loro – come la gentilezza, la cura e il calore – tendono ad essere percepite come fragili, troppo deboli o troppo sensibili (e quindi inadatte) per un ruolo di alta responsabilità.

La buona notizia è che una ricerca della Harvard Business School ha rivelato che le donne possono compensare questo pregiudizio di genere puntando su queste caratteristiche e facendole diventare un punto di forza, perché esistono semplicemente più stili di leadership.

Ma non per la Casa Bianca.

Un pò di storia femminile alla Casa Bianca

Victoria Woodhull sfidò i benpensanti d’America e arrivò dove nessuna donna aveva sognato di arrivare: attivista per i diritti, decise di candidarsi alle elezioni per la presidenza USA il 20 maggio del 1872, ma non prese nemmeno un voto, nemmeno il suo perché le donne non potevano votare.

La storia ha cambiato molte cose da allora, ma la corsa femminile alla Presidenza è sempre finita male, com’è avvenuto per Illary Clinton. Di fatto le donne della Casa Bianca si ricordano solo come First Ladies. e Jill Biden è la 46/ma.

Per ricordarle la National Portrait Gallery di Washington ha dedicato alle mogli dei presidenti degli Stati Uniti una rassegna.

Per Hillary Clinton (moglie del 42/mo presidente) si legge: ‘è stata criticata per la sua ambizione politica e la sua influenza sull’establishment, resistette strenuamente quando suo marito subì un impeachment per aver mentito su un affaire erotico’.

Ora alla Casa Bianca c’è Jill Jacobs, moglie di Biden dal 1977 ed è la prima first lady con origini italiane.

La lista parte da Martha Washington mentre nella cronaca recente spicca Michelle Obama citata come la prima first lady afroamericana. Per poi arrivare alla penultima inquilina Melania Trump.

In tutto 46 volti e ritratti che segnano anche molta storia degli States.

(riproduzione autorizzata citando la fonte) 

 

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