(Marco Emanuele)
Mauro Ceruti e Francesco Bellusci (Umanizzare la modernità, Raffaello Cortina Editore, 2023, p. 54) scrivono: La tecnica non è più considerabile eticamente neutrale né verso l’ambiente esterno, il pianeta, né verso l’ambiente interno, la natura umana. La sua evoluzione e l’estensione del suo raggio d’azione, anzi, mettono in crisi i presupposti dell’etica moderna, centrata sull’idea che la condizione umana fosse stabile e che i fini e le conseguenze dell’agire etico fossero ‘prossimi’, nello spazio e nel tempo, all’atto stesso e quindi prevedibili e controllabili.
L’impatto della tecnica, tecnologicamente determinata, ci porta dentro una condizione che dobbiamo re-imparare. La neutralità tecnica diventa auto-inganno: da strumento, utilizzabile per migliorare le prestazioni dell’umano, la tecnica (sempre per mano dell’uomo) lavora a diventare fine, portando l’essere umano verso una condizione di strumento, a diventare strumentale. Tale considerazione, rischio che vediamo, non può giustificare atteggiamenti e approcci antagonisti verso la tecnica-tecnologia ma, semmai, aprire nuovi orizzonti complessi di analisi per la decisione geostrategica.
L’etica ci riguarda, vive dentro la nostra responsabilità. Porre limiti, fermarsi in tempo, è ciò che ci rende umani ‘in potenza’, mai compiuti. Siamo tutto fuorché sempre prevedibili. Questa è la ragione per cui non possiamo dirci certi di come andranno le cose, di come evolveremo, del ‘chi diventiamo’. L’etica della responsabilità ci dice che a nulla valgono i confini che ancora creiamo tra il nostro agire e il destino planetario nel quale siamo immersi.
Siamo tutto ciò che accade. Dal profondo di noi, fino al profondo di realtà, non esiste separazione: non possiamo dirci irresponsabili rispetto ai rischi delle tecnologie critiche, così come rispetto alla guerra come unica possibilità di risoluzione dei conflitti. L’unidirezionalità del progresso è stata ampiamente problematizzata ed è crisi delle nostre certezze consolidate in un ‘costituito’ che non trova più la forza di ri-pensarsi, di fare autocritica, di ‘re-istituirsi’.
Prevedere e controllare sono comportamenti che ancora fanno parte dell’armamentario culturale dei vecchi Stati ‘burocratici’, macchine elefantiache che si muovono con crescente inefficacia, causando danni il più delle volte irreparabili, in un mondo-in-movimento nel quale velocità, radicalità e imprevedibilità sono parole chiave.
L’etica, nella critica a una modernità che sta mostrando i suoi limiti profondissimi, deve accettare la sfida della sua re-istituzione: nella complessità che siamo e che diventiamo.
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