(M.E.)
Come in un diario, scriviamo di pensiero complesso.
La complessità è una danza che ognuno balla con gli altri ma anche con se stesso, profondamente. Una danza che ci trasforma e che trasforma, che esprime i suoi movimenti in una realtà sempre più fluida.
La danza della complessità ci chiede di muovere i nostri passi dentro il più grande ritmo della Storia, avendone consapevolezza, cercando di leggere e di interpretare i ‘segni dei tempi’ e di intraprendere ‘strade nuove’ per ‘nuovi inizi’. Anche se i problemi e le sfide che viviamo, ben lo sappiamo, non nascono oggi ma risalgono a decenni fa, e anche oltre: basti pensare alla crisi climatica e alla tensione tutta umana per la violenza e per la guerra.
La danza della complessità si misura, inevitabilmente, nel grande passaggio epocale che stiamo vivendo: una transizione veloce e profonda, radicale. Una transizione che chiede nuovi approcci che non sembrano appartenere alla maggioranza di coloro che occupano il ruolo di classi dirigenti che, molto spesso in buona fede, utilizzano paradigmi culturali e operativi adatti a un mondo che non c’è più. Ancora novecenteschi. E non è questione di schieramento partitico: il tema-problema è trasversale.
Questo diario della complessità vuole andare oltre l’esistente, non schierandosi né con chi si allinea nel presente imminente, in una a-storica cultura conservatrice, né con quanti credono nel valore di un altrettanto a-storico antagonismo. Entrambi gli atteggiamenti profumano di vecchio e di inadeguato, non sfiorano le profondità dell’attuale momento storico e ripropongono antiche ricette magari vestite d’innovazione. E’ difficile immaginare percorsi realisticamente alternativi, tanto quanto è necessario.
Eppure, l’oltre già cammina in noi, il futuro è già presente. Facendo tesoro della storia, lasciandoci aiutare dall’innovazione tecnologica (la cui etica fa sempre più rima con la ‘giusta’ finalizzazione) e lavorando incessantemente sulla comprensione ‘sentimentale’ (non solo attraverso la ragione) delle transizioni che viviamo, il lavoro di The Global Eye si colloca nel solco dei grandi insegnamenti dei pionieri del pensiero complesso e della profonda riflessione critica: abbiamo bisogno di ritornare a respirare la Storia in ogni storia, sapendo che il mondo è un mosaico in progress. Ci candidiamo a essere, con umiltà e re-imparando, uno dei punti di una rete complessa nell’oltre della condizione umana planetaria.
(English version)
Like in a diary, we write about complex thinking.
Complexity is a dance that everyone dances with others but also with her-himself, deeply. A dance that transforms us and that transforms, which expresses its movements in an increasingly fluid reality.
The dance of complexity asks us to move our steps within the greatest rhythm of History, having awareness of it, trying to read and interpret the ‘signs of the times’ and to undertake ‘new paths’ for ‘new beginnings’. Even if the problems and challenges we are experiencing, we know well, do not arise today but date back decades, and even beyond: just think of the climate crisis and the entirely human tension for violence and war.
The dance of complexity is inevitably measured in the great epochal transition we are experiencing: a fast, profound, radical transition. A transition that requires new approaches that do not seem to belong to the majority of those who occupy the role of ruling classes who, very often in good faith, use cultural and operational paradigms suitable for a world that no longer exists. Still twentieth century. And it’s not a question of party affiliation: the issue-topic is transversal.
This diary of complexity wants to go beyond the existing, taking sides neither with those who align themselves in the imminent present, in an a-historical conservative culture, nor with those who believe in the value of an equally a-historical antagonism. Both attitudes seems old and inadequate, do not touching the depths of the current historical moment and proposing ancient recipes perhaps dressed in innovation. It is difficult to imagine realistically alternative paths, as much as is necessary.
Yet, the beyond already walks within us, the future is already present. Taking advantage of History, letting ourselves be helped by technological innovation (the ethics of which increasingly rhyme with the ‘right’ finalisation) and working incessantly on the ‘sentimental’ understanding (not only through reason) of the transitions we experience, the work of The Global Eye follows the great teachings of the pioneers of complex thinking and profound critical reflection: we need to return to breathing History in every story, knowing that the world is a mosaic in progress. We are applying to be, with humility and re-learning, one of the points of a complex network in the beyond of the planetary human condition.
(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)