Migrazioni. Tra umanità, identità e contenimento – Migration. Between humanity, identity and containment

Di fronte alle migrazioni, le nostre identità chiedono protezione. Il nostro ‘chi siamo’è fondamentale ma occorre uno sguardo più ampio. Lo Stato nazionale e le ragioni del necessario contenimento

In the face of migration, our identities demand protection. Our ‘who we are’ is fundamental but a broader view is needed. The nation State and the reasons for necessary containment

(Marco Emanuele)

L’identità è ineliminabile dalle nostre vite ed è molto umano voler difendere il ‘chi siamo’. A patto, però, di sapere che ciascuno di noi vive un ‘chi diventiamo’ che, nel mondo delle società aperte che abbiamo sacralizzato anni fa senza visione politica, ci fa entrare in contatto con le dinamiche planetarie. Migrazioni comprese.

Voler preservare il ‘chi siamo’ è tema caro a tutti noi. Nessuno vuole rinunciarvi in nome di un globalismo semplicistico e, come stiamo vedendo ogni giorno, foriero di conseguenze spesso ingovernabili. Ma, ripensando alle società aperte che abbiamo adottato con grande leggerezza, non ci starebbe ammettere che ‘abbiamo sbagliato’ ?

Di fronte alle migrazioni epocali, anche se le migrazioni hanno riguardato ogni epoca della storia umana, appena dopo la salvaguardia delle vite umane (che nessuno mette in discussione) viene il ruolo dello Stato. Ed è proprio lo Stato, dato per morto più e più volte in questi anni, a dover operare in termini di contenimento del fenomeno nei territori protetti dai suoi confini. Per quanto riguarda la vecchia Italia, dentro un’Europa piuttosto entità geografica e sommatoria di sovranismi più o meno ripuliti, è giusto preservare la sicurezza interna. Ed è giusto farlo, si dice, anche perché ‘così fan tutti’. Circondati da frontiere chiuse, chi pensa alla nostra identità ? Andare alla voce: rivedere la definizione di sovranista.

Abbiamo già scritto che non crediamo alla gestione solo securitaria del fenomeno migratorio ma ci rendiamo conto, fuori dal politicamente corretto, che le nostre comunità faticano ad accettare il senso di un fenomeno che viene percepito come un’invasione: ma che invasione ancora non è. Su questo punto, sarebbe cosa buona e giusta che governo e opposizione si togliessero gli abiti delle reciproche appartenenze per indossare quelli del dialogo politico; sarebbe cosa buona e giusta che i diversi livelli dello Stato collaborassero per trovare punti di mediazione adeguati. Sappiamo tutti, qualunque sia la nostra tensione culturale, che i migranti (magari persone e non masse …) devono stare in luoghi sicuri.

Non si può avere paura di andare nelle stazioni ferroviare dopo una certa ora; non si può chiedere agli abitanti dei nostri piccoli centri di accogliere, senza discutere, ‘altri’ che sentono come una minaccia (pur non essendolo, nella stragrande maggioranza dei casi).  Lo Stato, e non lo Stato ‘burocratico’ (definizione da approfondire e molto più profonda di ciò che sembra), ha la responsabilità di proteggere le identità (la declinazione al plurale è fondamentale) che vivono al suo interno. Ben sapendo, per quanto ci riguarda, che la partita delle migrazioni non si risolve così, una volta per sempre (troppi fattori concomitanti le condizionano e le determinano … geo-consapevolezza docet); ben sapendo, val bene ribadirlo, che soluzioni all’inglese come l’esportazione dei migranti in Rwanda hanno un sapore irricevibile nel terzo millennio della condizione umana.

(English version)

Identity is ineradicable from our lives and it is very human to want to defend ‘who we are’. Provided, however, that we know that each of us lives a ‘who we become’ that, in the world of open societies that we sacralised years ago without political vision, brings us into contact with planetary dynamics. Migrations included.

Wanting to preserve the ‘who we are’ is a theme dear to all of us. No one wants to give it up in the name of a globalism that is simplistic and, as we are seeing every day, harbours often ungovernable consequences. But, looking back on the open societies we have adopted with great levity, would it not be a mistake to admit that ‘we were wrong’?

In the face of epochal migrations, even though migrations have affected every era of human history, just after the safeguarding of human lives (which no one questions) comes the role of the State. And it is precisely the State, given up for dead over and over again in recent years, that must operate in terms of containing the phenomenon within the territories protected by its borders. As far as old Italy is concerned, within a Europe that is rather a geographical entity and a summation of more or less cleaned-up sovereignisms, it is right to preserve internal security. And it is also right to do so, because ‘that’s the way everyone does it’. Surrounded by closed borders, who thinks about our identity? Go to the heading: revise the definition of sovereignist.

We have already written that we do not believe in the purely securitarian management of the migratory phenomenon, but we realise, outside of political correctness, that our communities are struggling to accept the meaning of a phenomenon that is perceived as an invasion: but which invasion still is not. On this point, it would be good and right for the government and the opposition to take off the clothes of mutual affiliations and put on those of political dialogue; it would be good and right for the different levels of the State to work together to find suitable points of mediation. We all know, whatever our cultural tension, that migrants (perhaps people and not masses …) must stay in safe places.

We cannot be afraid to go to railway stations after a certain hour; we cannot ask the inhabitants of our small towns to take in, without question, ‘others’ whom they feel are a threat (although they are not, in the vast majority of cases). The State, and not the ‘bureaucratic’ State (a definition that needs to be explored and is much deeper than it seems), has a responsibility to protect the identities (the declension in the plural is fundamental) that live within it. Well knowing, as far as we are concerned, that the migration problem cannot be solved like this, once and for all (too many concomitant factors condition and determine them … geo-awareness docet); well knowing, it bears repeating, that English solutions such as exporting migrants to Rwanda have an inadmissible flavour in the third millennium of the human condition.

Latest articles

Related articles