Il circolo vizioso della vendetta – The vicious circle of revenge

(Anna Maria Cossiga)

“Occhio per occhio, dente per dente”, è scritto nell’Esodo e nel Levitico. I versi del Pentateuco sono diventati, da una parte, un’accusa all’ebraismo di essere vendicativo e, dall’altro, una sorta di giustificazione per la vendetta.

Quelle parole, però, vengono sempre lette al di fuori del contesto “politico” e storico dell’epoca. Si tratta, infatti, di una norma per mantenere l’ordine sociale in un periodo arcaico. Molte delle regole sociali nelle culture antiche e tra i popoli indigeni sono religiose. Lo Stato laico è un’invenzione recente ed era “Dio” (o gli déi o gli esseri sovrumani) ad emanare le leggi. In Iran e in Arabia Saudita è ancora così. E, in fondo, anche la pena di morte, ancora praticata in molte nazioni moderne, somiglia alla cosiddetta “vendetta” biblica.

Qualunque siano le origini del sentimento di rappresaglia che anima individui e nazioni, la storia ci insegna che la vendetta non serve a niente. Né come regola sociale, perché il mondo continua ad essere pieno di delinquenti e di violenza, né come metodo per risolvere i conflitti. Se, alla fine, i contendenti non si siedono attorno a un tavolo per discutere la pace, il ciclo di vendette reciproche non si ferma.

L’attuale guerra tra Hamas e Israele ne è un tragico esempio. Il movimento islamista dice di vendicarsi per i 16 anni di blocco a Gaza; per l’occupazione dei fratelli in Cisgiordania; per la costruzione di nuovi insediamenti e per la volontà di annessione del governo Netanyahu e, in particolare, dei ministri estremisti Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che non hanno certo simpatia per i palestinesi.

Anche Israele sta mettendo in atto una vendetta contro i suoi assalitori e se ci sarà davvero un attacco di terra, la Morte diventerà l’unica vincitrice.

Vogliamo però dire subito una cosa, perché non ci siano fraintendimenti: quello di Hamas è stato un attacco terroristico “da manuale”. L’obiettivo sono stati non i militari israeliani, ma gli esseri umani israeliani, massacrati con i metodi classici del terrorismo. Netanyahu, che ben conosciamo, ha ragione quando paragona la crudeltà dei miliziani di Hamas a quella dei miliziani dell’ISIS.

Detto questo, nessuna delle due vendette funzionerà, com’è sempre accaduto. I palestinesi sono disperati, quasi sessant’anni di occupazione fanno questi effetti; ma i numerosi atti di terrorismo, compiuti in Israele contro cittadini civili israeliani e, all’estero, contro civili ebrei, non sono serviti a niente, se non ad esacerbare il conflitto. Lo stesso si deve dire delle ritorsioni israeliane agli attacchi terroristici e ai missili da Gaza.

Non abbiamo dubbi sul fatto che Israele abbia diritto ad esistere e a difendersi, né che i palestinesi abbiano diritto ad uno Stato indipendente. Ormai, però, queste parole suonano vuote, un mormorio di sottofondo, mentre “il pubblico” che vive tranquillamente fuori da quella regione del mondo, diviso in filo-israeliani e filo-palestinesi, vocifera come opposte tifoserie di calcio. Intanto lì, sul campo, le vendette reciproche si ripetono, l’odio aumenta, la soluzione non arriva e gli esseri umani muoiono, in un circolo vizioso che sembra non avere fine.

Il conflitto israelo-palestinese è estremamente complesso e come tale va affrontato. Ci pare, però, che ben pochi lo facciano. Anzi, “ciascuna tifoseria” lo strumentalizza a proprio vantaggio. Non intendiamo dare la soluzione al problema, perché non l’abbiamo, e non vogliamo aggiungere una voce vuota a un’altra. Ormai va di moda gridare, anche quella una sorta di vendetta. La cosa migliore ci sembra, invece, insegnare il metodo complesso, parlando pacatamente; soprattutto ai giovani, che non hanno ancora le orecchie piene della cera della vendetta. Dovremmo farlo in famiglia, nelle scuole, nelle università e ogniqualvolta ne abbiamo l’occasione. Speriamo che ci sia ancora qualche israeliano e qualche palestinese che sia in grado di farlo con i suoi giovani.

Terminiamo con una domanda che ci gira in mente sin dalla tragedia dell’11 settembre: e se chi viene attaccato non si vendicasse, che cosa succederebbe ? Lo stupore dell’attaccante sarebbe così assoluto da mettere fine alle ritorsioni una volta per sempre? Che cosa sarebbe successo se gli USA non avessero attaccato l’Afghanistan? E se Israele non avesse attaccato Gaza? Una domanda surreale, lo sappiamo, come sappiamo che la storia non si fa con i “se”. Però, se qualcuno ha una risposta, ci piacerebbe sentirla.

(English version) 

“An eye for an eye, a tooth for a tooth” is written in Exodus and Leviticus. The verses from the Pentateuch have become, on the one hand, an accusation against Judaism of being vengeful and, on the other, a kind of justification for revenge.

Those words, however, are always read outside the ‘political’ and historical context of the time. It is, in fact, a rule for maintaining social order in an archaic period. Many of the social rules in ancient cultures and among indigenous peoples are religious. The secular State is a recent invention and it was ‘God’ (or gods or superhuman beings) who made the laws. In Iran and Saudi Arabia, this is still the case. And, after all, even the death penalty, still practised in many modern nations, resembles biblical ‘revenge’.

Whatever the origins of the feeling of reprisal that animates individuals and nations, history teaches us that revenge serves no purpose. Neither as a social rule, because the world continues to be full of thugs and violence, nor as a method to resolve conflicts. If, in the end, the disputants do not sit around a table to discuss peace, the cycle of mutual revenge will not stop.

The current war between Hamas and Israel is a tragic example of this. The Islamist movement says it is taking revenge for the 16-year blockade in Gaza; for the occupation of its brothers in the West Bank; for the construction of new settlements; and for the annexation will of the Netanyahu government and, in particular, the extremist ministers Bezalel Smotrich and Itamar Ben-Gvir, who certainly have no sympathy for the Palestinians.

Israel is also taking revenge against its assailants, and if there really is a ground attack, Death will become the only victor.

However, we want to say one thing right away, so that there are no misunderstandings: Hamas’ was a ‘textbook’ terrorist attack. The target was not the Israeli military, but Israeli human beings, slaughtered with the classic methods of terrorism. Netanyahu, whom we know well, is right when he compares the cruelty of Hamas militiamen to that of ISIS militiamen.

That said, neither revenge will work, as it always has. The Palestinians are desperate, almost sixty years of occupation do that; but the numerous acts of terrorism, carried out in Israel against Israeli civilians and abroad against Jewish civilians, have served no purpose except to exacerbate the conflict. The same must be said of Israeli retaliation to terrorist attacks and rockets from Gaza.

We have no doubt that Israel has a right to exist and defend itself, nor that the Palestinians have a right to an independent State. By now, however, these words ring hollow, a background murmur, while ‘the public’ who live quietly outside that region of the world, divided into pro-Israeli and pro-Palestinian, vociferate like opposing football supporters. Meanwhile there, on the ground, mutual vendettas are repeated, hatred increases, a solution does not come and human beings die, in a vicious circle that seems to have no end.

The Israeli-Palestinian conflict is extremely complex and must be addressed as such. It seems to us, however, that very few do so. On the contrary, ‘each supporter’ exploits it to his own advantage. We do not intend to give the solution to the problem, because we do not have it, and we do not want to add one empty voice to another. It is now fashionable to shout, even that sort of revenge. The best thing seems to us, instead, to teach the complex method, speaking calmly; especially to young people, who do not yet have their ears full of the wax of revenge. We should do this in the family, in schools, in universities, and whenever we have the opportunity. Let us hope that there are still some Israelis and Palestinians who are able to do this with their young people.

Let us end with a question that has been swirling around in our minds ever since the tragedy of 9/11: what if the one being attacked did not retaliate, what would happen? Would the attacker’s stupor be so absolute as to put an end to retaliation once and for all? What would have happened if the US had not attacked Afghanistan? What if Israel had not attacked Gaza? A surreal question, we know, as we know that history is not made with ‘what ifs’. But if anyone has an answer, we would love to hear it.

(riproduzione autorizzata citando la fonte)

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