(Marco Emanuele)
Da giorni, parlando con diversi amici, riflettiamo sul senso di ciò che viviamo. Purtroppo, ma inevitabilmente, le riflessioni condivise vanno tutte nel profondo della violenza banale e della ‘cultura’ della vendetta in cui siamo immersi: occorre accendere una luce, pur se fioca visto che il palcoscenico del dibattito è occupato dal grande spettacolo delle contrapposizioni più o meno sanguinarie, e intraprendere una strada diversa.
Mai come oggi, siamo convinti che sia venuto il tempo di superare i dogmatismi, non importa se laici o religiosi. La grande retorica, come sempre, entra in azione in tempi bui: tutti si affannano a definire, con la certezza della Verità (non a caso, nel titolo, utilizziamo la parola ‘in minuscolo’), le posizioni di parte come le uniche che spiegano, che contano, che determinano. Sulla violenza-per-la-violenza, qualunque essa sia e da chiunque provenga, dovremmo essere pronti a condannare. Salvando, sia chiaro, il diritto alla difesa che non è, e non può mai essere, diritto alla vendetta.
In molti, troppi casi, anche persone impegnate e oneste intellettualmente sono vittime di un ‘900 che non passa, di paradigmi lineari che portano a contrapporre, dogmatizzandole, posizioni di parte. Una contrapposizione, competizione senza respiro storico, che inevitabilmente sacrifica la complessità di ciò che accade, che è in noi e che non vogliamo vedere, che è nella realtà perché noi la portiamo, creando de-generazione, l’unica cosa che tutti sembriamo condividere.
Mentre le Verità si contrappongono, immerse in una linearità annoiante e pericolosa, qui evochiamo il pensiero laterale, complesso, critico, libero: né appiattito né antagonista. E’ la sfida necessaria, per cambiare via.
La terza verità è in un percorso che rimetta al centro l’urgenza di superare progressivamente la cultura del ‘confine’, inteso in senso complesso. Quando, come accade, abbiamo paura della realtà che abbiamo contribuito a creare (l’autocritica riguarda anzitutto noi che scriviamo), la tentazione è chiuderci nei nostri confini, difenderci oltre misura (senza domandarci quali siano i limiti della nostra immunizzazione) e di limitare le discussioni a ciò che viene lasciato libero dai dogmi reciproci: pressoché nulla.
De-dogmatizzar(ci), dunque, è il primo passo per intraprendere la strada che qui evochiamo: la terza verità (minuscola) è in un percorso di volontà che non neghi il male e la paura che ci portiamo dentro ma che, dentro le nostre contraddizioni e i nostri conflitti (da non confondere con le guerre), ci aiuti a ri-trovare quel senso di umanità che, prendendo consapevolezza del filo invisibile che lega ciò che accade (dalle guerre alle violenze ‘autoctone’ nelle nostre città), ci può salvare, mostrandoci l’insensatezza del ‘male banale’.
(English version)
For days, talking with various friends, we have been reflecting on the meaning of what we live. Unfortunately, but inevitably, the shared reflections all go to the depths of the banal violence and of the ‘culture’ of revenge in which we are immersed: we need to turn on a light, albeit a dim one given that the stage of the debate is occupied by the great spectacle of more or less bloody oppositions, and take a different path.
Never as today, we are convinced that the time has come to overcome dogmatisms, no matter if secular or religious. The great rhetoric, as always, comes into action in dark times: everyone scrambles to define, with the certainty of the Truth (it is no coincidence that we use the word ‘in lower case’ in the title), partisan positions as the only ones that explain, that count, that determine. On violence-for-violence, whatever it is and whoever it comes from, we should be ready to condemn. Saving, let it be clear, the right to defence, which is not, and can never be, a right to revenge.
In many, too many cases, even committed and intellectually honest people are victims of a 20th century that does not pass, of linear paradigms that lead to dogmatically opposing partisan positions. A contraposition, competition without historical breath, which inevitably sacrifices the complexity of what is happening, which is in us and which we do not want to see, which is in reality because we bring it, creating de-generation, the only thing we all seem to share.
While Truths are opposed, immersed in a boring and dangerous linearity, here we evoke lateral thinking, complex, critical, free: neither flattened nor antagonistic. It is the necessary challenge, to change the way.
The third truth is in a path that puts back at the centre the urgency to progressively overcome the culture of the ‘border’, understood in a complex sense. When, as is the case, we are afraid of the reality we have helped to create (self-criticism first and foremost concerns us who write), the temptation is to close ourselves within our borders, to defend ourselves beyond measure (without asking ourselves what the limits of our immunisation are) and to limit our discussions to what is left free of mutual dogmas: almost nothing.
De-dogmatising (us), then, is the first step to embarking on the path we evoke here: the third (lower-case) truth is in a path of will that does not deny the evil and fear we carry within us but which, within our contradictions and conflicts (not to be confused with wars), helps us to re-find that sense of humanity which, becoming aware of the invisible thread that links what is happening (from wars to ‘indigenous’ violence in our cities), can save us, showing us the meaninglessness of ‘banal evil’.
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