(Carlo Rebecchi)
Per i ribelli Houthi, il vero nemico è l’Arabia Saudita
Davide contro Golia. I guerriglieri Houthi dello Yemen – Paese con un pil pro capite di meno di mille dollari l’anno – contro una coalizione di dieci dei Paesi tra i più ricchi e potenti del mondo guidata dagli Stati Uniti. La ‘crociata’ in preparazione, cui partecipano anche Gran Bretagna, Francia e Italia, non una una novità assoluta ma un’estensione, in modalità ancora da definire, delle cinque ‘combined task force’ che gli americani mantengono già da una ventina d’anni per la sicurezza nell’area del Golfo.
C’è un motivo se i Grandi prendono sul serio il presunto-piccolo Davide. Lo rivela il nome della missione a guida Usa: ‘Prosperity Guardian’. I ribelli Houthi, da anni in guerra contro un governo sostenuto dall’Arabia saudita, sono ‘una grave minaccia per il commercio mondiale’ e, quindi, per la prosperità. Controllano dal 2014 il nord dello Yemen, compresa la capitale Sanaa, e soprattutto, lo stretto di Bab el Mandeb, il ‘collo di bottiglia’ nel quale transitano ogni anno almeno un terzo delle navi che dal Golfo e dall’Asia riforniscono l’Europa di petrolio gas liquefatto.
Dopo l’attacco di Hamas contro Israele, il 7 ottobre, gli Houthi si sono schierati, e non soltanto a parole, contro Israele e gli Stati Uniti. Hanno lanciato missili contro Israele, neutralizzati dai sistemi di sicurezza israeliani, e con sempre maggiore frequenza droni contro una trentina di navi commerciali. Il bilancio finora è di leggeri danni e qualche ferito. Ma tanto è bastato per spingere le principali compagnie mondiali a fuggire dal Mar Rosso. Il New York Times ha scritto che lunedì scorso della cinquantina di navi che attraversano ogni giorno il Mar Rosso 32 sono state dirottate altrove. Molte hanno intrapreso la circumnavigazione dell’Africa, via Capo di Buona Speranza. Con un aumento dei costi del 30%, tale da affossare più di un’economia europea.
Gruppuscolo armato contro il governo di Sanaa sostenuto dai sauditi (sunniti), gli Houthi – musulmani sciiti – hanno trovato sostegno nell’Iran (sciita). La collaborazione con Teheran ne ha favorito il rafforzamento militare, proprio come accaduto per gli Hezbollah in Libano e altri movimenti in Iraq e Siria. Oggi gli Houthi sono sempre un Davide, ma meno piccolo, con un esercito di almeno 100.000 uomini bene addestrati, dotati di missili della portata di 1500 chilometri, potenziale minaccia anche per la grande Arabia Saudita.
‘C’era sicuramente da aspettarsi che un gruppo armato nato ‘contro Israele’ e ‘contro gli USA’ si schierasse con Hamas, con o senza il via libera dell’Iran’, ha spiegato Farea al-Muslimi, ricercatore alla Chatam House di Londra, a Le Monde di Parigi. Per al-Muslimi l’obiettivo degli Houthi non è tanto pesare nel conflitto tra Israele e Hamas quanto guadagnarsi una legittimità nello Yemen, ‘per unificare la popolazione yemenita, che è massicciamente pro-palestinese, di cui vogliono guadagnarsi il consenso’’.
D’altra parte, secondo il parere espresso alla Agence France Presse da Maged al-Madhaji, cofondatore del think tank Sanaa Center for Strategic Studies, i ribelli Houthi mirano a estendere la loro influenza nella regione e a ‘pesare di più’ soprattutto nel confronto con l’Arabia Saudita, che non hanno finora minacciata ‘per non compromettere’ i negoziati in corso per mettere fine alla guerra. Un ‘fine guerra’, secondo le specialista di Yemen del quotidiano Le Monde, da attuare ‘attraverso il ritiro saudita dallo Yemen, perché gli Houthi non sono stati sconfitti. Sono loro che hanno vinto la guerra’.
(English version)
For the Houthi rebels, the real enemy is Saudi Arabia
David against Goliath. The Houthi guerrillas of Yemen – a country with a per capita GDP of less than a thousand dollars a year – against a coalition of ten of the richest and most powerful countries in the world led by the United States. The ‘crusade’ in preparation, in which Great Britain, France and Italy are also participating, is not an absolute novelty but an extension, in a manner yet to be defined, of the five ‘combined task forces’ that the Americans have already maintained for around twenty years for security in the Gulf area.
There is a reason why the adults take the supposedly little David seriously. The name of the US-led mission reveals this: ‘Prosperity Guardian’. The Houthi rebels, who have been at war for years against a government supported by Saudi Arabia, are ‘a serious threat to world trade’ and, therefore, to prosperity. Since 2014, they have controlled the north of Yemen, including the capital Sanaa, and above all, the Strait of Bab el Mandeb, the ‘bottleneck’ through which at least a third of the ships that supply Europe from the Gulf and Asia pass every year of liquefied petroleum gas.
After the Hamas attack on Israel on October 7, the Houthis took sides, and not just in words, against Israel and the United States. They launched missiles against Israel, neutralized by Israeli security systems, and with increasing frequency drones against around thirty commercial ships. The toll so far is light damage and a few injuries. But that was enough to push the world’s major companies to flee the Red Sea. The New York Times wrote that last Monday, of the fifty ships that cross the Red Sea every day, 32 were diverted elsewhere. Many undertook the circumnavigation of Africa, via the Cape of Good Hope. With a 30% increase in costs, enough to sink more than one European economy.
An armed group against the government of Sanaa supported by the Saudis (Sunnis), the Houthis – Shiite Muslims – have found support in Iran (Shiites). The collaboration with Tehran has favored its military strengthening, just as happened with Hezbollah in Lebanon and other movements in Iraq and Syria. Today the Houthis are still a David, but less small, with an army of at least 100,000 well-trained men, equipped with missiles with a range of 1500 kilometers, a potential threat also for the greater Saudi Arabia.
‘It was certainly expected that an armed group born ‘against Israel’ and ‘against the US’ would side with Hamas, with or without the green light from Iran’, explained Farea al-Muslimi, a researcher at Chatam House in London, at Le Monde in Paris. For al-Muslimi, the Houthis’ objective is not so much to weigh in on the conflict between Israel and Hamas as to gain legitimacy in Yemen, ‘to unify the Yemeni population, which is massively pro-Palestinian, whose consensus they want to gain’.
On the other hand, according to the opinion expressed to Agence France Presse by Maged al-Madhaji, co-founder of the think tank Sanaa Center for Strategic Studies, the Houthi rebels aim to extend their influence in the region and to ‘weigh more’ especially in comparison with Saudi Arabia, which they have not yet threatened ‘so as not to jeopardize’ the ongoing negotiations to end the war. An ‘end of war’, according to the Yemen specialists of the newspaper Le Monde, to be implemented ‘through the Saudi withdrawal from Yemen, because the Houthis have not been defeated. They are the ones who won the war’.
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