Ogni accordo, soprattutto in zone sensibili e martoriate come il Medio Oriente, porta con sé speranze. Realismo vuole che si tenga conto della situazione di fondo che caratterizza l’area, una grave insicurezza che nasce anche dall’aver trascurato, guardandola con approccio lineare, l’incertezza e le emergenze degli attori statali e non statali in campo. Il Medio Oriente è da sempre laboratorio di complessità ma in tanti si sono affannati a negarne la natura.
L’accordo tra Israele e Hamas, distribuito nel tempo e da appoggiare da parte di tutti noi che abbiamo a cuore la costruzione della pace, avviene in una situazione globale di evidente fragilità. Dallo spazio al profondo degli oceani, infatti, tutto è competizione esasperata: in questo quadro, gli alfieri della rivoluzione tecnologica, particolarmente quelli fattisi ‘governo’, insistono sulla competizione e sulla (presunta) libertà delle ‘case di vetro’ (social), di fatto lavorando a erodere nel profondo le grandi conquiste del multilateralismo.
Bilaterale è meglio, sembrerebbe essere il nuovo messaggio strategico. Magari costruendo un mondo a misura di compromesso, fratellastro (non di stesso letto …) della mediazione. Mentre qui abbiamo a cuore il destino dei popoli, e guardiamo con interesse all’evoluzione tecnologica (senza elevarla agli altari), ciò che sembra venire avanti è una ri-configurazione sostanziale del mondo che conoscevamo. Trasformazione, dunque, e non semplicistico cambiamento.
E non è affatto il caso di personalizzare, come ormai fanno i più. E’ arrivato l’Uomo della Provvidenza, eccolo, ora risolve, evviva il fare per il fare. Non è così, lo sappiamo: la preoccupazione deriva dal fatto che sembriamo immersi in un mondo sempre meno Politico (mediazione-visione-realismo progettuale) ma sempre più politico (compromesso-fare per il fare-realismo dell’eterno presente). E poi c’è il tema del pensiero: come pensiamo la globalità, casa complessa dell’umanità come unità nella diversità o abitazione lineare dell’umanità come somma di diversità ?