(di Marco Emanuele)
I contenuti dell’ultimo libro di Mauro Ceruti e Francesco Bellusci, Umanizzare la modernità. Un modo nuovo di pensare il futuro (Raffaello Cortina Editore, 2023), sono alimento vitale per il nostro lavoro.
Come The Global Eye, think tank che intende portare il pensiero complesso nel discorso pubblico, per trasformare la decisione strategica, intendiamo seguire la traiettoria esistenziale/esperienziale/intellettuale di chi, da anni, pone il tema di una ‘etica planetaria’.
Fin dalle prime pagine, il libro apre prospettive chiare, di complessità. Siamo nel pieno di una crisi della modernità, generata dalla crisi delle idee di progresso e di futuro. Basterebbe questa frase per capire chi siamo diventati perché, con buona pace di chi continua a cercare il nemico fuori da sé, il principio di responsabilità abita nel profondo di ciascuno di noi. Per questo, il nostro focus riguarda il ‘chi diventiamo’ dentro la policrisi de-generativa nella quale siamo immersi.
Il bivio davanti al quale l’umanità si trova è, secondo molti e anche secondo noi, ampiamente sottovalutato. Non per aderire a visioni apocalittiche e antagonistiche della storia, che non ci riguardano, ma non vedere la saldatura tra le varie crisi de-generative (prima fra tutte, quella climatica) e le guerre/i conflitti armati che attraversano il mondo è miope. Sviluppare un pensiero critico è del tutto necessario e urgente, per non cadere nella contrapposizione inutile e assai dannosa così come nell’appiattimento sulla inevitabilità lineare di un progresso unidimensionale: ma tale pensiero critico, per essere trasformante, non può che essere complesso.
Viviamo una modernità armata e, al contempo, disarmante. Sull’aggettivo ‘armata’ non ci soffermiamo perché sembra superfluo. Ci torneremo in prossime riflessioni, continuando a elaborare su quel ‘destino all’odio’ che sta mettendo in serio pericolo l’esistenza stessa di milioni di esseri umani: si veda ciò che accade in Medio Oriente ma non solo. Ragioniamo, invece, sull’ apparente paradosso di una modernità armata/disarmante.
Perché la modernità è disarmante ? Perché, in particolare attraverso la tecnologia (che creiamo noi stessi), rischiamo di anestetizzare il nostro rapporto con la vita: una strada per comprendere e governare l’esplosione dei conflitti, limitandone l’espansione, è prendere atto che il conflitto è parte della nostra stessa natura. Non possono esistere sistemi a-conflittuali: sarebbero ‘banalmente’ totalitari.
Dunque, l’anestetizzazione delle complessità della vita, che molto spesso ci fanno paura, non rappresenta la via ‘giusta’ per noi umani che ci troviamo davanti al bivio dei nostri futuri: o metanoia o irresponsabilità. Mentre la prima può essere dolorosa, perché passa inevitabilmente dall’autocritica, ma è necessaria, la seconda rappresenterebbe l’inizio della fine.
Troppo spesso, le comodità e i risultati che l’innovazione tecnologica porta nelle nostre vite ci portano in una sorta di comoda irresponsabilità. Sembra quasi che il mondo ‘carne e sangue’ non ci appartenga, al di là di quando ci tocca direttamente e ne avvertiamo fisicamente il pericolo. Solo in questo caso, noi osservatori rientriamo nell’osservazione e abbandoniamo, per paura, l’anestetizzazione generata dai nostri mondi virtuali. La modernità disarmante, quella che ‘rilassa’ la nostra responsabilità, torna armata come un fiume in piena, già acqua carsica che non pensavamo potesse emergere e travolgerci.
Nella irresponsabilità non possiamo ritrovare il senso del limite. Perché sostenibilità, giustizia e pace non siano parole vuote, occorre ri-tornare a vivere la profonda complessità dell’essere umani. Condizione di futuri.
(riproduzione autorizzata citando la fonte)