Attraversata da una megacrisi de-generativa, l’umanità è a un bivio: continuare con una traiettoria lineare di un progresso non problematizzato o re-inquadrare il progresso in una visione complessa.
Il pensiero complesso non è una scelta possibile ma è l’unica possibilità per ri-congiungere pensiero e realtà dinamica. La realtà è più che interdipendente, è inter-in-dipendente: ciò significa che ciascuno di noi è legato all’altro dal vincolo indissolubile dell’umanità e che tentare di spezzare tale vincolo significa porsi contro-natura. E’ proprio quel vincolo, infatti, che ci dona la libertà.
Nell’era della separazione dominante, perseverare in una competizione esasperata che non cerca mediazione e dialogo può, di fronte al bivio strategico nel quale ci troviamo, farci prendere la strada sbagliata. La rivoluzione tecnologica è uno di quegli elementi che – al contempo – può aiutarci a costruire la strada del “circolo virtuoso” o, se non compresa eticamente (nelle sue grandi opportunità e nei suoi altrettanti rischi), può imprigionarci sempre di più in un rischioso (dal punto di vista esistenziale) “circolo vizioso”. In questa visione, la considerazione etica della tecnologia e un pensiero complesso nella stessa sono sinonimi.
Siamo un’unica umanità dentro al destino planetario e la prospettiva che dobbiamo percorrere è quella dello sviluppo umano integrale (altra questione complessa) verso la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi. Porre al centro la protezione e la cura di ogni essere umano, nonché di ogni comunità umana in ogni eco-sistema, dovrebbe essere la priorità di un impegno responsabile nella storia di ciascuno di noi e, in particolare, delle classi dirigenti.
Tutto questo si deve fare cambiando paradigmi culturali e operativi. Se prendiamo atto dell’inter-in-dipendenza nella quale viviamo, non c’è libertà senza responsabilità di protezione e cura di ognuno per ogni altro-di-noi.
Gli ideologismi e le assurde separazioni tra parti contrapposte, che ancora dominano il dibattito pubblico dai territori al mondo, sono indice della nostra incapacità di passare dal pensiero antagonista e lineare al pensiero critico e complesso. La causa della sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi passa anzitutto dalla consapevolezza delle differenze che rappresentano interessi (differenti e, a volte, divergenti), e che occorre mediare con pazienza dialogante, e dalla loro trasformazione in potenzialità comune. Non siamo per un pensiero omologante, che cancelli le differenze e annulli il rischio e il conflitto (il che significherebbe rifugiarsi in una sostanziale irrealtà), ma per un nuovo quadro di riferimento (bussola geostrategica) fondato sul dialogo.
La megacrisi de-generativa nella quale siamo immersi, e il tema della rivoluzione tecnologica, ci spiegano l’urgenza di una radicale trasformazione di noi stessi, delle relazioni interpersonali e di quelle internazionali secondo complessità. Mai come oggi abbiamo tutte le possibilità per salvarci insieme e, altrettanto, per porre fine all’esperienza umana sul pianeta.
Riflettiamo, dunque, sul valore politico-strategico della protezione e della cura, condizioni irrinunciabili per la pace e la giustizia. Commetteremmo un errore grossolano nel continuare a pensare che le attività di solidarietà e di ri-costruzione delle reti comunitarie di relazione appartengano a un contesto pre-politico: esse, al contrario, sono attività profondamente politiche. Solo in quel contesto è possibile operare per lo sviluppo umano integrale e per consolidare un’etica tecnologica che indirizzi il progresso dall’alto e nel profondo di ogni realtà: non esistono sviluppo umano e progresso tecnologico dentro società lacerate, divise ed esasperatamente competitive. In questa situazione, infatti, la parabola del rischio è drammaticamente portata a peggiorare, facendo de-generare la nostra condizione: non basta dire democrazia per essere liberi come non basta dire tecnologia per essere progrediti. In questa situazione, con un rischio che si diffonde e si incancrenisce, l’incertezza (naturalità della condizione umana) diventa inevitabilmente insicurezza, disagio, paura.
La costruzione della speranza, di una speranza concreta, passa dalla nostra capacità di cogliere e accogliere la complessità e le complessità che siamo e che ci circondano per re-immaginare (immaginare continuamente) scenari geostrategici di governo della realtà. I tre pilastri della nostra ricerca, pensiero complesso – sviluppo umano integrale – etica della tecnologia, sono indispensabili e vanno costruiti e rafforzati insieme, mai separatamente l’uno dall’altro.
(English version)
Crossed by a de-generative megacrisis, humanity is at a crossroads: continue with a linear trajectory of unproblematised progress or re-frame progress in a complex vision.
Complex thinking is not an option but the only possibility to re-join thought and dynamic reality. Reality is more than interdependent, it is inter-in-dependent: this means that each of us is bound to the other by the indissoluble bond of humanity and that to attempt to break that bond is to set us against nature. It is that bond, in fact, that gives us freedom.
In the era of dominant separation, persevering in an exasperated competition that does not seek mediation and dialogue may, when faced with the strategic crossroads at which we find ourselves, lead us down the wrong path. The technological revolution is one of those elements that – at the same time – can either help us build the path of the ‘virtuous circle’ or, if not ethically understood (in its great opportunities and its equally great risks), can imprison us ever more in a risky (from an existential point of view) ‘vicious circle’. In this view, ethical consideration of technology and complex thinking about it are synonymous.
We are one humanity within the planetary destiny and the perspective we must pursue is that of integral human development (another complex issue) towards the political-strategic sustainability of the world and worlds. Placing the protection and care of every human being, as well as every human community in every eco-system, at the centre, should be the priority of a responsible commitment in the history of each of us and, in particular, of the ruling classes.
This must be done by changing cultural and operational paradigms. If we take note of the inter-in-dependence in which we live, there is no freedom without responsibility to protect and care for each other-of-us.
Ideologisms and absurd separations between opposing parties, which still dominate public debate from the territories to the world, are indicative of our inability to move from antagonistic and linear thinking to critical and complex thinking. The cause of the political-strategic sustainability of the world and the worlds passes first and foremost through the awareness of the differences that represent different, and sometimes divergent, interests, which need to be mediated with dialogic patience, and through their transformation into common potential. We are not for homologising thinking, which erases differences and cancels out risk and conflict (which would mean taking refuge in a substantial unreality), but for a new frame of reference (geostrategic compass) based on dialogue.
The de-generational megacrisis in which we are immersed, and the theme of the technological revolution, explain the urgency of a radical transformation of ourselves, interpersonal relations and international relations according to complexity. Never as today we had every chance to save ourselves together and, equally, to end the human experience on the planet.
Let us reflect, therefore, on the political-strategic value of protection and care, indispensable conditions for peace and justice. We would be making a gross mistake in continuing to think that solidarity activities and the rebuilding of community networks of relationships belong to a pre-political context: they are, on the contrary, deeply political activities. It is only in that context that it is possible to work for integral human development and to consolidate a technological ethics that directs progress from above and in the depths of every reality: human development and technological progress do not exist within divided and exasperatingly competitive societies. In this situation, in fact, the parabola of risk is dramatically worsened, making our condition de-generated: it is not enough to say democracy to be free just as it is not enough to say technology to be advanced. In this situation, with risk spreading and festering, uncertainty (the naturalness of the human condition) inevitably becomes insecurity, unease, fear.
The construction of hope, of a concrete hope, passes through our ability to grasp and embrace the complexities that we are and that surround us in order to re-imagine (continuously imagine) geostrategic scenarios for governing reality. The three pillars of our research, complex thinking – integral human development – ethics of technology, are indispensable and must be built and strengthened together, never separately from each other.
Il Manifesto della Società 5.0
Riflessioni collegate
Bussola geostrategica e rischio esistenziale – Geostrategic compass and existential risk
Bussola geostrategica. Note di accompagnamento
- Paolo Benanti, Tecnologia per l’uomo. Cura e innovazione, San Paolo 2021, pp. 26 e 27: La condizione tecno-umana è (…) la traccia visibile di quella condizione di “ulteriorità” che caratterizza l’essere umano, una condizione che, in diverse tradizioni sapienziali e religiose, è stata definita, anche se con accezioni e significati diversi, come spirituale. Questa consapevolezza sull’umano ci chiede però di rileggere il nostro modo di comprendere la tecnologia ripercorrendo la pluralità di modi con i quali l’artefatto tecnologico ha provocato il nostro comprendere: la tecnica sebbene ci accompagni da sempre non è stato un luogo di riflessione esplicita. Solo nel Novecento, dopo gli shock culturali di due guerre mondiali, vinte grazie alla tecnologia, l’industrializzazione pervasiva del globo e l’arrivo digitale, la tecnica/tecnologia è divenuta uno dei luoghi di maggiore attenzione del pensiero umano.
- Benanti, cit., pp. 58 e 59: la tecnologia, specie nel suo diventare infrastruttura, non (può) mai essere compresa come un qualcosa di neutrale. L’utente non vede solamente una striscia di asfalto e ponti in calcestruzzo ma sperimenta gli effetti di una serie di scelte invisibili ma efficaci nel determinare alcune delle possibilità o delle impossibilità che si hanno nell’utilizzo di tale struttura. Nella progressiva tecnologizzazione della società l’idea di una relazione mano-artefatto come unico momento etico sembra non più capace di dire lo strutturarsi di relazioni, scelte con valore etico e possibilità che fondano il complesso tecnologico e ne sostengono il funzionamento. L’etica nel suo porre in questione la tecnologia deve anche portare la sua incalzante domanda di senso a questo livello: difficile da vedere ma efficacissimo nel plasmare i limiti della libertà del suo utente.
- Benanti, cit., p. 60: L’etica della tecnologia deve poter guardare a come l’innovazione non solo cambi l’esecuzione di un compito ma anche come trasformi le relazioni sociali. L’idea che il lavoro e l’economia di fatto vengano profondamente influenzati dall’economia di scala chiede che la domanda etica si faccia domanda di giustizia e di equità. Questo tema diviene ancora più urgente se consideriamo come brevetti, marchi registrati e altri vincoli commerciali possano influenzare l’economia globale.
- Benanti, cit., pp. 66 e 67: L’etica ha quella che potremmo definire una funzione ecologica portando una domanda sull’umanizzazione o disumanizzazione indotta dall’innovazione tecnologica e su come si possa fin dal progetto, si direbbe in inglese by design, introdurre degli accorgimenti che evitino effetti disumanizzanti nell’uso della tecnologia o nella sua implementazione. L’etica della tecnologia è quella forma della riflessione etica che sorge al darsi di queste trasformazioni tecnologiche e che, ponendo in questione la tecnologia con una sorta di incedere socratico, vuole portare alla luce le forze e le decisioni che contribuiscono a fare della tecnologia l’elemento maggiormente caratterizzante il nostro presente.
- Benanti, cit., p. 70: Particolarmente significativo per un discernimento su tecnica, progresso e sviluppo è il contributo della Populorum Progressio (PP). Da una parte la PP riconosce lo sviluppo tecnologico come necessario alla crescita economica e al progresso umano (cfr PP, 25), confermando quella euforica fiducia nella modernizzazione degli anni Sessanta. Tuttavia, la PP profeticamente mostra come “la tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo ch’esse devono servire. E l’uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze” (PP, 34)
- Benanti, cit., p. 71: Di nuovo Paolo VI con l’Octogesima adveniens (OA) affronta l’esigenza di discernere i nuovi problemi sociali (cfr OA, 8-21). Nel delineare i cambiamenti delle relazioni sociali la OA fornisce un importante contributo per il discernimento sulla tecnica in ordine allo sviluppo integrale: si passa ad analizzare il substrato ideologico che determina la modalità con cui l’uomo, per mezzo delle tecnologie, comprende e si relaziona al mondo. “Se oggi si è potuto parlare di un regresso delle ideologie, ciò può indicare che è venuto un tempo favorevole a un’apertura verso la trascendenza concreta del cristianesimo; ma può indicare anche uno slittamento più accentuato verso un nuovo positivismo: la tecnica generalizzata come forma dominante di attività, come modo assorbente di esistere, e magari come linguaggio, senza che la questione del suo significato sia realmente posta” (OA, 29)
- Benanti, cit., pp. 72 e 73: Una successiva tappa nello sviluppo del discernimento della tecnica sviluppato dalla Dsc si è avuto con il pontificato di Giovanni Paolo II il quale pone nel contesto di un umanesimo autentico lo sviluppo tecnologico. Il contributo originale del pontefice al discernimento etico sulle tecnologie appare già nell’enciclica Redemptor hominis (RH): “Lo sviluppo della tecnica e lo sviluppo della civiltà del nostro tempo, che è contrassegnato dal dominio della tecnica stessa, esigono un proporzionale sviluppo della vita morale dell’etica. Intanto quest’ultimo sembra, purtroppo, restare sempre arretrato. Perciò, quel progresso, peraltro tanto meraviglioso, in cui è difficile non scorgere anche autentici segni della grandezza dell’uomo, i quali, nei loro germi creativi, ci sono rivelati nelle pagine del Libro della Genesi, già nella descrizione della sua creazione, non può non generare molteplici inquietudini. La prima inquietudine riguarda la questione essenziale e fondamentale: questo progresso, il cui autore e fautore è l’uomo, rende la vita umana sulla terra, in ogni suo aspetto, “più umana” ? La rende più “degna dell’uomo” ? Non ci può esser dubbio che, sotto vari aspetti, la renda tale. Quest’interrogativo, però, ritorna ostinatamente per quanto riguarda ciò che è essenziale in sommo grado: se l’uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventi veramente migliore, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e più deboli, più disponibile a dare e portare aiuto a tutti” (RH 15). Le trasformazioni tecnologiche sono direttamente collegate ai valori umani che queste promuovono o minacciano: perché le ripercussioni delle trasformazioni tecniche ed economiche sulla vita sociale, culturale e religiosa possano servire finalità veramente umane, devono essere guidate da principi etici. L’ambivalenza della tecnologia appare in tutta la sua drammaticità nell’istruzione Donum vitae dove si affrontano temi che mettono a confronto l’antropologia, le tecniche biomediche e i criteri fondamentali per un corretto giudizio morale.
- Benanti, cit., p. 76: La Sollicitudo rei socialis (SRS) offre un contributo notevole nella formulazione di un’etica della tecnologia che tenga correttamente conto della complessa costituzione del fenomeno tecnologico. Pur non proponendo una particolare visione filosofica in materia di analisi della costituzione della tecnica, tuttavia la SRS affronta un discernimento etico che riassume in sé le nuove comprensioni culturali del fenomeno tecnologico. La prospettiva della SRS è ripresa dalla Centesimus annus (CA): si pone l’accento sulla necessità di recuperare le dimensioni umane e sociali del fenomeno tecnico al di là dell’ideologia economicistica e tecnocratica che aliena l’uomo e il suo lavoro (cfr CA, 13-16 e 50-51). In particolare, la CA contribuisce a indirizzare il contributo precipuo della Dsc a quel livello in cui la tecnologia esprime un atteggiamento di base degli esseri umani verso il mondo.
- Benanti, cit., pp. 77 e 78: Il discernimento etico della Dsc mira a favorire la creazione di uno sviluppo integrale dell’uomo. La tecnica, espressione dell’ingegno umano, è parte insopprimibile di questo processo. Tuttavia, la tecnologia, come ogni espressione dell’attività umana, si presenta con dei tratti ambivalenti: può permettere un rapido sviluppo per l’intera umanità o mediare l’ingiustizia e il peccato rendendo sempre più efficaci nella storia gli effetti del male. Ancora più importante per la Dsc è portare la sua funzione profetica e di critica evangelica al cuore del fenomeno tecnologico là dove prende forma il modo in cui l’uomo guarda e si relaziona al mondo: l’insegnamento sociale della Chiesa mira a dare al fenomeno tecnologico un volto realmente umano.
- Mauro Ceruti, Francesco Bellusci, Il secolo della fraternità, Castelvecchi 2021, p. 19: Nell’attuale policrisi (ecologica, climatica, demografica, economica, sociale, culturale …) che assume i contorni di una crisi di civiltà, il compito di rigenerare e di riorientare la civiltà umana, per salvarla dall’abisso, ci riporta strategicamente, e non solo emozionalmente, a confidare nel principio e nel valore della fraternità universale. Per dirlo con le parole di Papa Franesco nell’enciclica Fratello tutti, è il compito di delineare ciò di cui si constata sempre più la drammatica assenza: un “progetto per tutti”.
- Ceruti, Bellusci, cit., p. 20: Tra passato e prospettiva, possiamo (…) cominciare a mettere a frutto, come punti di non ritorno, germi di coscienza inedita, emersi, anche tragicamente, alla fine del secolo scorso, alla fine del millennio scorso. Traiettorie di consapevolezza da integrare in un imperativo categorico: trasformare il nostro rapporto con il mondo per salvarci dal disastro. Ciò che dovremo fare non può prescindere da ciò che abbiamo appreso o da ciò che sapevamo già, ma che solo adesso comincia a fare “presa” reale sulla nostra coscienza. D’altra parte, gli uomini pensano, vivono e agiscono nella Storia coordinando esperienze e aspettative.
- Ceruti, Bellusci, cit., pp. 20 e 21: Dopo il Novecento, sappiamo che il progresso può essere regressivo, che il malessere è sovente un parassita del benessere. La barbarie dell’intolleranza, del fanatismo, della violenza e dei massacri è sempre pronta a emergere dal fondo arcaico dell’impulsività e della storia umane. Ma oggi si è unita a una nuova barbarie, quella della tecnoscienza autonomizzata ed elevata a motore della potenza economica, militare e politica, quella degli apparati burocratici provvisti dell’arma della razionalità strumentale e della logica procedurale e impersonale, quella dei saperi parcellizzati valorizzati per la capacità di ridurre il senso a formule, modelli, algoritmi.
- Ceruti, Bellusci, cit., pp. 21 e 22: La globalizzazione economica ha creato le infrastrutture (commerciali, logistiche, energetiche, digitali) di una società-mondo, cioè una rete di comunicazioni e una economia planetaria, ma non può creare spontaneamente le condizioni che permettono nella società-mondo di governare le interdipendenze interne, né di elevare queste ultime alla forma di una solidarietà globale e di una fraternità umana senza frontiere. Solidarietà e fraternità non possono scaturire dalla contrattazione economica o dalla pura convergenza di interessi, ma sono, per converso, alla base dell’elemento non contrattuale (ovvero morale e giuridico) del contratto, che giustifica e motiva la lealtà dei contraenti, e si pongono anzi come due principi di organizzazione sociale. (…) La carenza di solidarietà globale e di fraternità universale (…) dipende dalla carenza della coscienza di comunità di destino terrestre, che potrebbe essere l’evento chiave del terzo millennio, favorito dalla crescente consapevolezza di ciò che abbiamo appreso alla fine dello scorso millennio.