(Marco Emanuele)
Nel tempo della grande trasformazione, le vere domande sono inevitabilmente sensibili, toccano il profondo di ciascuno di noi e della realtà. Nell’incertezza, un dato è certo: non è più possibile utilizzare paradigmi ‘consumati’ perché riferiti a un mondo che non c’è più.
Il dibattito pubblico, spesso colpevolmente superficiale, teme di ricondurre l’uomo (e ogni uomo) al principio di responsabilità e, nel distrarre le masse, compie l’errore strategico più grave: rendere gli strumenti, come l’intelligenza artificiale, pressoché dei ‘valori’. Mentre, al centro di tutto, dovrebbe esserci il ri-pensamento delle relazioni umane per la costruzione di ‘spazi comuni’: insomma, al centro del ‘mondo mosaico’ dovrebbe esserci la politica, ciò che lega, via pensiero complesso.
Eppure la parola ‘politica’ ci dà fastidio, la associamo (talvolta con sguardi generalisti e anche ingenerosi) a classi dirigenti mediocri e/o corrotte e anche la democrazia non ha destino migliore: il crescente astensionismo (anch’esso politico) è lì a dimostrarlo.
Dogmatizzare gli strumenti non ci aiuterà a vivere in democrazie degne di questo nome. Il problema è tutto nella nostra responsabilità, anzitutto culturale. Quando finiremo, infatti, di esaltare la democrazia ‘compiuta’ ? Vivere la democrazia significa ‘respirarne’ le complessità, le contraddizioni e i conflitti; significa sottolinearne l’incertezza e, nel dire che la democrazia è un processo (e non un modello), l’incompiutezza e l’imprevedibilità.
L’intelligenza artificiale può aiutare e, al contempo, può rendere le cose ancora più difficili. In ogni caso, il gioco è nelle nostri mani di cittadini più o meno responsabili, di soggetti capaci di leggere i passaggi storici che ci trasformano. In sostanza, ciascuno di noi è ‘vocato’ a essere pienamente umano: e di vocazioni, in questo caso ‘laiche’, c’è parecchia carenza.
(English version)
In the time of great transformation, the real questions are inevitably sensitive, touching the depths of each of us and of reality. In the midst of uncertainty, one thing is certain: it is no longer possible to use ‘consumed’ paradigms because they refer to a world that no longer exists.
The public debate, often guiltily superficial, fears bringing man (and every man) back to the principle of responsibility and, in distracting the masses, makes the most serious strategic mistake: making tools, such as artificial intelligence, almost ‘values’. While, at the center of everything, there should be the re-thinking of human relationships for the construction of ‘common spaces’: in short, at the center of the ‘mosaic world’ there should be politics, that which binds, via complex thinking.
Yet the word ‘politics’ annoys us, we associate it (sometimes with generalist and even ungenerous views) with mediocre and/or corrupt ruling classes and even democracy has no better fate: the growing abstentionism (also political) is there to prove it.
Dogmatizing the tools will not help us live in democracies worthy of the name. The problem lies entirely in our responsibility, first and foremost cultural. In fact, when will we stop extolling ‘completed’ democracy? Living democracy means ‘breathing’ its complexities, contradictions and conflicts; it means underlining its uncertainty and, in saying that democracy is a process (and not a model), its incompleteness and unpredictability.
Artificial intelligence can help and, at the same time, it can make things even more difficult. In any case, the game is in our hands as more or less responsible citizens, as subjects capable of reading the historical passages that transform us. In essence, each of us is ‘voted’ to be fully human: and there is a great lack of vocations, in this case ‘secular’ ones.
(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)