There is a dominant mantra: separate worlds.
The linear ‘cold war’ logic is still among us and does not stop increasing dangerous and anti-historical distances.
Let us understand. Reality presents itself with different colours and varied experiences. The same reality, however, presents us with the historic opportunity to find ourselves all in the challenges that unite us and that any partisan view fails to grasp in their complexity and, therefore, to govern.
We must get out of the logic of ‘us against them’ by being clear about the added value of liberal democracies that can once again become examples if democracies themselves undergo a profound self-criticism. Today, it is no longer enough to say democracy or market for the ‘world of the good’ to open up.
Just as ‘cold war’ linear logic no longer works in international relations, it no longer works within national systems. The issue of growing social unrest, and growing inequality, disunites societies and progressively diminishes the spirit of community. Politics should rethink itself, realising that the challenge is to enhance the national interest in open societies. This is where the future is at stake. The winner will be the one who succeeds in developing policies of political-strategic sustainability at the various levels of our life (from the local to the planetary level).
We can no longer waste time discussing globalisation or de-globalisation, but we must look at the decisive issue: the future of globalisation is called glocalisation, the ability to politically govern global flows in the territories. To do this we need new ruling classes: the current ones still seem immersed in a 20th century that does not pass.
Italian version
Il ‘900 che non passa
C’è un mantra dominante: separare i mondi.
La logica lineare ‘da guerra fredda’ è ancora tra noi e non smette di aumentare distanze pericolose e ormai anti-storiche.
Capiamoci. La realtà si presenta ai nostri occhi con diversi colori e variegate esperienze. La stessa realtà, però, ci presenta l’occasione storica di ritrovarci tutti nelle sfide che ci accomunano e che ogni visione di parte non riesce a cogliere nella loro complessità e, dunque, a governare.
Dobbiamo uscire dalla logica del ‘noi contro di loro’ avendo ben chiaro il valore aggiunto delle democrazie liberali che possono ritornare a essere esempi se le stesse democrazie si sottopongono a una profonda auto-critica. Oggi non basta più dire democrazia o mercato perché si apra il ‘mondo del bene’.
Come la logica lineare ‘da guerra fredda’ non funziona più nelle relazioni internazionali, allo stesso modo essa non funziona dentro i sistemi nazionali. Il tema del crescente disagio sociale, e della crescita delle disuguaglianze, disunisce le società e fa diminuire progressivamente lo spirito di comunità. La politica dovrebbe ripensarsi per rifondarsi, preso atto che il campo di sfida è la valorizzazione dell’interesse nazionale nelle società aperte. Su questo punto, infatti, si gioca il futuro. Vincerà chi riuscirà a elaborare politiche di sostenibilità politico-strategica ai vari livelli della nostra vita (dal piano locale a quello planetario).
Non possiamo più perdere tempo a discutere di globalizzazione o di de-globalizzazione ma occorre guardare al problema decisivo: il futuro della globalizzazione si chiama glocalizzazione, la capacità di governare politicamente i flussi globali nei territori. Per fare questo ci vogliono nuove classi dirigenti: le attuali sembrano ancora immerse in un ‘900 che non passa.