Il cambio di era che viviamo chiede di cogliere la complessità dei processi storici nella loro profondità e inter-in-dipendenza. Un nuovo discorso pubblico, per non essere solo lineare, superficiale e separante deve accogliere come suo elemento fondamentale e fondante la natura complessa di ciò che la realtà è in ciò che diventa.
Due parole segnano questa riflessione: profondità e inter-in-dipendenza.
Sulla profondità va detto che, nella costruzione di scenari complessi, non è sufficiente – pur se necessario – uno sguardo solo dall’alto. Se è vero che sono le dinamiche planetarie a determinare quelle nazionali e territoriali, è altrettanto vero che solo un approccio profondo aiuta a maturare orizzonti di sostenibilità politico-strategica. Negli ultimi trent’anni abbiamo lavorato a de-contestualizzare il mondo, a cercare un centro del potere per costruire un nuovo ordine mondiale: ci siamo accorti, preso atto che la storia non è finita ma che le storie ritornano, che il tema sono le periferie esistenziali e le dinamiche vitali che, nel profondo delle comunità umane, vengono sempre più spesso polarizzate, separate e contrapposte. Questo crea disagio, insicurezza e non permette di lavorare insieme per il bene comune.
I Paesi più poveri, nell’incrocio perverso tra classi dirigenti autoctone inadeguate e spesso corrotte e l’intervento di player esterni che parlano retoricamente di sviluppo e che si muovono in molti casi per sfruttare le risorse naturali o per rafforzare zone d’influenza strategica, pagano il prezzo più alto. Cosa troviamo nella profondità dei contesti più poveri ? Allo stesso modo, possiamo dire che, nei Paesi più sviluppati, i sistemi politico-istituzionali ed economici siano costruiti su fondamenta solide in società davvero eque e giuste ?
Gli effetti delle dinamiche dall’alto, di ciò che chiamiamo globalizzazione, si saldano con i disagi e le insicurezze presenti nel profondo delle società e alimentano quella progressiva de-generazione che ancora non consideriamo in maniera adeguata come la radice della insostenibilità politico-strategica del mondo.
La seconda parola è inter-in-dipendenza, molto diversa dall’interdipendenza. L’inter-in-dipendenza, infatti, ci porta dentro al vincolo che ciascuno di noi vive come parte indispensabile, ma non esaustiva, del mosaico-mondo. Siamo vincolati l’uno all’altro, nella realtà. Laddove polarizziamo e separiamo, per ragioni di egoismo, paura, interesse o potere, tradiamo la natura complessa del mosaico-mondo: Tradiamo ciò che dovrebbe stare al centro del nostro pensare-agire strategico: la relazione.
Il vincolo è tutt’altro che una prigione. Esso è la condizione della nostra libertà: ciascuno di noi è libero, infatti, solo se riconosce ciò che ci lega dentro un contesto più grande, del quale – al contempo – siamo parte e che ci supera. Mentre l’interrelazione è lineare e semplicistica, l’inter-in-dipendenza è complessa perché ci vincola al dialogo e a costruire le condizioni perché la fraternità e la solidarietà non siano considerate in un quadro pre-politico ma rappresentino, profondamente, le nuove frontiere della politica nel futuro già presente.
(English version)
The changing era we live in calls for grasping the complexity of historical processes in their depth and inter-in-dependence. A new public discourse, if it is not to be merely linear, superficial and separating, must accept as its fundamental and founding element the complex nature of what reality is in what it becomes.
Two words mark this reflection: depth and inter-in-dependence.
On depth, it must be said that, in the construction of complex scenarios, it is not sufficient – though necessary – to look only from above. If it is true that it is planetary dynamics that determine national and territorial ones, it is equally true that only a profound approach helps to mature horizons of political-strategic sustainability. Over the past thirty years, we have worked to de-contextualise the world, to search for a centre of power to build a new world order: we have realised, considering that history is not over but that histories return, that the issue is the existential peripheries and vital dynamics that, deep within human communities, are increasingly polarised, separated and opposed. This creates unease, insecurity and does not allow us to work together for the common good.
The poorest countries, in the perverse intersection between inadequate and often corrupt indigenous ruling classes and the intervention of external players that talk rhetorically about development and move in many cases to exploit natural resources or to strengthen areas of strategic influence, pay the highest price. What do we find in the depths of the poorest contexts? Similarly, can we say that, in more developed countries, the political-institutional and economic systems are built on solid foundations in truly just and equitable societies?
The effects of the dynamics from above, of what we call globalisation, are welded with the discomforts and insecurities present deep within societies and feed that progressive de-generation that we still do not adequately consider as the root of the world’s political-strategic unsustainability.
The second word is inter-in-dependence, very different from interdependence. Inter-in-dependence, in fact, brings us into the bond that each of us experiences as an indispensable, but not exhaustive, part of the mosaic-world. We are bound to each other, in reality. Where we polarise and separate, for reasons of selfishness, fear, interest or power, we betray the complex nature of the mosaic-world: we betray what should be at the centre of our strategic thinking-acting: the relationship.
The bond is not a prison. It is the condition of our freedom: each of us is free, in fact, only if we recognise what binds us within a larger context, of which – at the same time – we are part and which exceeds us. While interdependence is linear and simplistic, inter-in-dependence is complex because it binds us to dialogue and to build the conditions so that fraternity and solidarity are not considered in a pre-political framework but represent, profoundly, the new frontiers of politics in the future that is already present.