Ri-pensare, per ri-fondare, le società aperte – Re-thinking, to re-found, open societies – Repenser et refonder les sociétés ouvertes

Si accentua la megacrisi de-generativa dentro la crescente complessità del mondo-che-diventa. Viviamo in quell’ incrocio inestricabile di mondi che preferiamo definire inter-in-dipendenza, a significare il vincolo che ci lega indissolubilmente in un destino planetario.

La vera posta in gioco, nel cambio di era caratterizzato dalla ri-composizione dei rapporti di potere, è la transizione dal mondo-uno al mondo-mosaico. La partita strategica è nel continuo passaggio tra centro e periferie, laddove queste ultime sono esistenziali come luoghi-di-vita (molto spesso oltraggiata o negata).

A nostra valutazione, l’unica vera prospettiva di senso e di significato è la scelta dell’approccio complesso. Le decisioni geostrategiche derivano sempre da un pensiero-nel-mondo e, oggi più che mai, si avverte la difficoltà di comprendere e di com-prendere il cambio di era che stiamo attraversando. Paradosso: mentre siamo noi che generiamo il cambio di era, siamo sempre noi a non aver maturato un pensiero adeguato per governarlo politicamente.

Il paradosso rappresenta il problema che dobbiamo affrontare e rispetto al quale sembriamo sempre dover scegliere tra due alternative: o adeguarci al “sistema” in maniera a-critica o combatterlo in maniera antagonistica. Nessuna delle due alternative funziona perché entrambe rappresentano l’aumento potenziale di rischi già presenti o non ancora del tutto visibili.

Il momento storico è particolarmente sfidante, al contempo tragico. Sembriamo giunti alla resa dei conti dopo un trentennio (e poco più) nel quale abbiamo cercato, senza riuscirci, di costruire un ordine che desse stabilità al mondo dopo la fine dell’equilibrio bipolare. Dentro al paradosso che siamo e che generiamo, viviamo il terzo millennio con il pensiero ancorato in un ‘900 che non passa: pressoché tutte le nostre categorie interpretative, i nostri paradigmi, sono lineari e di certezza.

La realtà, invece, ci insegna che siamo chiamati a nuotare e a orientarci nel grande mare aperto dell’incertezza. Bene/male, pace/guerra, crescita/de-crescita, globalizzazione/ri-territorializzazione, progresso/arretramento, ordine/disordine rappresentano la complessità di ogni dinamica storica: ed è proprio tale complessità che va adottata come metodo nel nostro cammino di soggetti storici in trasformazione e trasformanti la realtà.

Il tema che emerge è la ri-congiunzione degli opposti. Nulla è estraneo al resto, nulla ci è estraneo: siamo chiamati, attraverso un metodo complesso, a elaborare nuovi paradigmi per nuovi contenuti e per decisioni geostrategiche adeguate al cambio di era. Non possiamo continuare a separare e a escludere: se guardiamo alla sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi, non ha più senso operare radicalizzazioni e contrapporle attraverso una competizione esasperata ed esasperante.

Più radicalizziamo, ovunque ciò avvenga, e meno riusciamo a realizzare la transizione dal mondo-uno al mondo-mosaico. Non si tratta di un semplicistico passaggio ma di una vera e propria metamorfosi che non può che partire dentro ciascuno di noi.

Il mondo-mosaico è frontiera in progress: esso non ha un centro, dove qualcuno comanda e dispone, ma è fondato sulla relazione dialogante. Relazione che, naturalmente, chiama ogni parte, ogni tassello del mosaico, ciascuno di noi e ogni sistema, ad avviare processi profondi di auto-critica e di de-radicalizzazione. Ciò diventa possibile solo credendoci, solo prendendo atto che, per la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi, occorre cambiare via.

Tanti sono gli allarmi sulla megacrisi de-generativa che stiamo vivendo, non sommatoria ma interrelazione di crisi. Altresì tutti sappiamo, pensando in particolare alla crisi climatica, che occorrono politiche di continua mediazione tra interessi diversi, a volte anche divergenti: l’ambiente naturale non può prescindere dall’impronta dell’uomo e, allo stesso modo, l’uomo non può prescindere dall’ambiente. Introdurre elementi di complessità significa sapere che la crisi climatica non è limitata alla salvaguardia del creato ma coinvolge molte altre dinamiche come i modelli di sviluppo, le disuguaglianze, le migrazioni e così via.

Qualunque sia la natura del sistema nel quale viviamo, democrazia o autocrazia, la megacrisi de-generativa in atto entra in maniera prepotente e senza chiedere permesso. Non c’è confine che tenga di fronte alla crisi climatica, alla rivoluzione tecnologica, alla terza guerra mondiale “a pezzi” e alle loro conseguenze. Il mondo-uno, sommatoria di mondi, non è riuscito a costruire nuove prospettive fuori dal pensiero novecentesco: i rapporti di potere, dentro Stati sempre più burocratici, sono stati posti su un piano d’insostenibilità, pressoché dogmatizzati.

Velocità e radicalità della megacrisi de-generativa non possono essere affrontate con scelte di sempre maggiore immunizzazione e difesa dei sistemi: se è giusto proteggersi, elevare l’asticella oltre misura significa adottare una linea di difesa estrema, e lineare, che non può che portare a ulteriore insostenibilità.

E’ venuto il tempo di fare ciò che non si è fatto negli ultimi decenni: ri-pensare, dal punto di vista politico-strategico, il rapporto tra i contesti nazionali e il contesto planetario. In sostanza, occorre ri-pensare, per ri-fondare, le società aperte.

Si tratta di un lavoro lungo e paziente che chiede nuove mediazioni e un realismo come ritorno-nella-realtà. Il pensiero complesso non può che accompagnarsi, pragmaticamente, a una diplomazia creativa, critica, politica.

(english version)

The de-generational megacrisis intensifies within the growing complexity of the world-that-becomes. We live in that inextricable intersection of worlds that we prefer to call inter-in-dependence, signifying the bond that indissolubly binds us in a planetary destiny.

What is really at stake, in the changing era characterised by the re-composition of power relations, is the transition from the world-one to the world-mosaic. The strategic game is in the continuous transition between centre and peripheries, where the latter are existential as places of life (very often outraged or denied).

In our assessment, the only real perspective of meaning and significance is the choice of the complex approach. Geostrategic decisions always derive from thinking-within-the-world and, today more than ever, we feel the difficulty of understanding and com-prehending the changing era we are going through. Paradox: while  we generate the change of era, we have not developed adequate thinking to govern it politically.

The paradox represents the problem we face and with respect to which we always seem to have to choose between two alternatives: either to adapt to the ‘system’ in an a-critical manner or to fight it antagonistically. Neither alternative works because both represent the potential increase of risks that are already present or not yet fully visible.

The historical moment is particularly challenging, yet tragic. We seem to have reached a reckoning after thirty years (and a little more) in which we have tried, unsuccessfully, to build an order that would give stability to the world after the end of the bipolar equilibrium. Within the paradox that we are and that we generate, we live the third millennium with our thinking anchored in a 20th century that does not pass: almost all our interpretative categories, our paradigms, are linear and of certainty.

Reality, on the other hand, teaches us that we are called upon to swim and orient ourselves in the great open sea of uncertainty. Good/evil, peace/war, growth/de-growth, globalisation/re-territorialisation, progress/retreat, order/disorder represent the complexity of every historical dynamic: and it is precisely this complexity that must be adopted as a method in our journey as historical subjects in transformation and transforming reality.

The theme that emerges is the re-conjunction of opposites. Nothing is extraneous to the rest, nothing is extraneous to us: we are called upon, through a complex method, to elaborate new paradigms for new contents and geostrategic decisions appropriate to the changing era. We cannot continue to separate and exclude: if we look at the political-strategic sustainability of the world and the worlds, it no longer makes sense to radicalise and oppose them through exasperated and exasperating competition.

The more we radicalise, wherever that may be, the less we can achieve the transition from the world-one to the world-mosaic. This is not a simplistic transition but a true metamorphosis that can only start within each of us.

The mosaic-world is a frontier in progress: it does not have a centre, where someone commands and disposes, but is founded on the dialogic relationship. Relationship that, of course, calls each part, each piece of the mosaic, each of us and each system, to initiate profound processes of self-criticism and de-radicalisation. This becomes possible only by believing in it, only by realising that, for the political-strategic sustainability of the world and worlds, we need to change course.

So many are the alarms about the de-generative megacrisis we are experiencing, not summation but interrelatedness of crises. We all know, thinking in particular of the climate crisis, that we need policies of continuous mediation between different, sometimes even divergent interests: the natural environment cannot be separated from man’s footprint and, likewise, man cannot be separated from the environment. Introducing elements of complexity means knowing that the climate crisis is not limited to the preservation of creation but involves many other dynamics such as development models, inequalities, migration and so on.

Whatever the nature of the system in which we live, democracy or autocracy, the ongoing de-generative megacrisis enters in an overbearing manner and without asking permission. There is no boundary that holds in the face of the climate crisis, the technological revolution, the third world war ‘in pieces’ and their consequences. The world-one, summation of worlds, has failed to construct new perspectives out of twentieth-century thinking: power relations, within increasingly bureaucratic States, have been placed on a plane of unsustainability, almost dogmatised.

The speed and radicality of the de-generational megacrisis cannot be tackled with choices of ever greater immunisation and defence of systems: if it is right to protect oneself, raising the bar beyond measure means adopting an extreme, linear line of defence that can only lead to further unsustainability.

The time has come to do what has not been done in recent decades: re-think, from a political-strategic point of view, the relationship between national and planetary contexts. In essence, it is necessary to re-think, to re-found, open societies.

This is a long and patient task that calls for new mediations and a realism as a return-to-reality. Complex thinking can only be accompanied, pragmatically, by creative, critical, political diplomacy

(version française)

La complexité croissante du monde en devenir s’accompagne d’une mégacrise dégénérative de plus en plus marquée. Nous vivons dans cette inextricable intersection de mondes que nous interprétons comme une unité qui nous lie dans un destin planétaire.

Le véritable enjeu, dans l’ère changeante caractérisée par la re-composition des rapports de force, c’est le passage du monde-un au monde-mosaïque. Le jeu stratégique se situe dans la transition continue entre le centre et les périphéries, où ces dernières sont existentielles en tant que lieux de vie (très souvent outragés ou niés).

Selon nous, la seule perspective réelle de sens et de signification est le choix de l’approche complexe. Les décisions géostratégiques découlent toujours d’une réflexion à l’intérieur du monde et, aujourd’hui plus que jamais, nous ressentons la difficulté de comprendre et d’appréhender l’ère changeante que nous traversons. Paradoxe: si nous sommes à l’origine du changement d’époque, c’est toujours nous qui n’avons pas développé la pensée adéquate pour le gouverner politiquement.

Le paradoxe représente le problème auquel nous sommes confrontés et pour lequel nous semblons toujours devoir choisir entre deux alternatives: soit nous adapter au “système” sans esprit critique, soit le combattre de manière antagoniste. Aucune de ces alternatives ne fonctionne, car elles représentent toutes deux une augmentation potentielle des risques qui sont déjà présents ou qui ne sont pas encore pleinement visibles.

Le moment historique est particulièrement stimulant, mais aussi tragique. Il semble que nous soyons arrivés à un moment décisif après trente ans (et un peu plus) au cours desquels nous avons essayé, sans succès, de construire un ordre qui donnerait de la stabilité au monde après la fin de l’équilibre bipolaire. Dans le paradoxe que nous sommes et que nous générons, nous vivons le troisième millénaire avec une pensée ancrée dans un XXe siècle qui ne passe pas: presque toutes nos catégories interprétatives, nos paradigmes, sont linéaires et de certitude.

La réalité, en revanche, nous enseigne que nous sommes appelés à nager et à nous orienter dans le grand large de l’incertitude. Bien/mal, paix/guerre, croissance/décroissance, mondialisation/territorialisation, progrès/retraite, ordre/désordre représentent la complexité de toute dynamique historique: et c’est précisément cette complexité qui doit être adoptée comme méthode dans notre voyage en tant que sujets historiques en train de nous transformer et de transformer la réalité.

Le thème qui émerge est la reconjonction des opposés. Rien n’est étranger au reste, rien n’est étranger à nous: nous sommes appelés, à travers une méthode complexe, à élaborer de nouveaux paradigmes pour de nouveaux contenus et des décisions géostratégiques adaptées à l’époque qui change. Nous ne pouvons pas continuer à séparer et à exclure: si nous examinons la durabilité politico-stratégique du monde et des mondes, cela n’a plus de sens de les radicaliser et de les opposer par une concurrence exaspérée et exaspérante.

Plus nous nous radicaliserons, où que ce soit, moins nous pourrons réaliser la transition du monde-un vers le monde-mosaïque. Il ne s’agit pas d’une transition simpliste mais d’une véritable métamorphose qui ne peut commencer qu’en chacun de nous.

Le monde-mosaïque est une frontière en devenir: il n’a pas de centre, où quelqu’un commande et dispose, mais il est fondé sur la relation dialogique. Une relation qui, bien sûr, appelle chaque partie, chaque pièce de la mosaïque, chacun d’entre nous et chaque système, à entamer de profonds processus d’autocritique et de déradicalisation. Cela n’est possible qu’en y croyant, qu’en réalisant que, pour la durabilité politico-stratégique du monde et des mondes, nous devons changer de cap.

Nombreuses sont les alarmes sur la mégacrise dégénérative que nous vivons, non pas l’addition mais l’interdépendance des crises. Nous savons tous, en pensant notamment à la crise climatique, que nous avons besoin de politiques de médiation permanente entre des intérêts différents, parfois même divergents: l’environnement naturel ne peut être séparé de l’empreinte de l’homme et, de même, l’homme ne peut être séparé de l’environnement. Introduire des éléments de complexité, c’est savoir que la crise climatique ne se limite pas à la préservation de la création, mais qu’elle implique de nombreuses autres dynamiques telles que les modèles de développement, les inégalités, les migrations, etc.

Quelle que soit la nature du système dans lequel nous vivons, démocratie ou autocratie, la mégacrise dégénérative en cours s’impose sans demander la permission. Il n’y a pas de frontière qui tienne face à la crise climatique, à la révolution technologique, à la troisième guerre mondiale “en morceaux” et à leurs conséquences. Le monde-un, la somme des mondes, n’a pas réussi à construire de nouvelles perspectives à partir de la pensée du XXe siècle: les relations de pouvoir, au sein d’États de plus en plus bureaucratiques, ont été placées sur un plan d’insoutenabilité, presque dogmatisé.

La rapidité et la radicalité de la mégacrise dégénérative ne peuvent être abordées par des choix d’immunisation et de défense des systèmes toujours plus grands: s’il est juste de se protéger, élever la barre au-delà de la mesure signifie adopter une ligne de défense extrême et linéaire qui ne peut que conduire à une plus grande insoutenabilité.

Le moment est venu de faire ce qui n’a pas été fait au cours des dernières décennies: repenser, d’un point de vue politico-stratégique, la relation entre les contextes nationaux et planétaire. Il s’agit essentiellement de repenser, de refonder les sociétés ouvertes.

C’est un travail long et patient qui appelle de nouvelles médiations et le réalisme comme retour à la réalité. La pensée complexe ne peut s’accompagner, de manière pragmatique, que d’une diplomatie politique, créative et critique.

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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