(Progetto di civiltà) Le città-laboratorio come vincolo complesso

L’approccio complesso a un progetto di civiltà deve considerare il fatto che, come notano Giaccardi e Magatti (2022), la sproporzione tra esperienza personale e complessità sistemica continua ad ampliarsi. Aumenta progressivamente la distanza tra noi e la realtà, quasi che questa andasse in una direzione altra, lontana e separata dall’esperienza di ciascuno di noi.

Quali sono le cause ?

Anzitutto notiamo un paradosso: siamo o non siamo noi a generare la complessità sistemica ? Se si, come pensiamo, il problema è tutto nella tensione dell’uomo a superare costantemente il proprio limite, anzitutto non riconoscendolo come tale.

Poi c’è il tema del progresso tecnologico: come, in anni recenti, abbiamo creduto nell’auto-referenzialità del mercato, oggi rischiamo di credere all’auto-referenzialità delle tecnologie, quasi un mondo a parte che si auto-alimenta e che ci pone nelle condizioni di dover razionalizzare sempre più la nostra ragione: così riconosciamo solo ciò che possiamo misurare e diamo sempre meno importanza a ciò che riguarda le profondità della nostra esperienza, il mistero-di-noi, la relazione. A farne le spese, inevitabilmente, è il comune, radice e ragione della comunità planetaria, glocale. Dobbiamo recuperare la complessità di ogni esperienza nella complessità planetaria e possiamo farlo attraverso l’esercizio di una libertà responsabile, trasformativa, con una ragione complessa: ciascuno di noi è il primo attore del cambiamento sistemico.

Inoltre, non riconosciamo più nella partitica attuale il collante strategico tra ogni esperienza umana e la complessità sistemica. La partitica rincorre la complessità, gioca con la tecnologia e non considera il disagio e le disuguaglianze, fenomeni profondi e in allargamento, come parti di un pensiero davvero strategico. In questi ultimi mesi, ma il fenomeno è antico, la guerra in Ucraina ci sta mostrando – come fece la pandemia nel periodo più duro – l’incosistenza di una politica a-visionaria e molto debole nelle mediazioni: una politica, in sostanza, pressoché ridotta ad amministrazione.

Il quadro internazionale è disarmante. Si vede in giro solo linearità. Siamo nelle mani di classi dirigenti che non introducono alcun elemento di complessità nei tentativi di governare un sistema-mondo sempre più complesso. Questo approccio certamente non aiuta a colmare la distanza tra la nostra esperienza di vita e la complessità sistemica: anzi, così continuando, tale distanza è drammaticamente destinata ad aggravarsi. Ormai l’impostazione complessiva è di rabbia contro rabbia, competizione a chi alza di più il livello dello scontro, armamenti e riarmo. Siamo immersi in un’arena dagli esiti imprevedibili. Mentre, naturalmente, la megacrisi incombe su di noi e sui nostri futuri. I cori da stadio nei talk show aiutano solo a esacerbare gli animi, ad allargare l’arena, a dividere gli ascoltatori come in un infuocato derby strategico.

Per tutte queste ragioni, insistiamo sul recupero del senso di comune a partire dalle città. Si tratta, principalmente, di ri-abituarci alla relazione, a ciò-che-siamo e alla natura profonda della realtà. Non possiamo più pensare in termini di o/o, dobbiamo considerare l’irruzione dell’emergenza come un fatto normale nella nostra complessa esperienza di vita e abbiamo la responsabilità di maturare giudizio storico: così, liberi ma mai compiutamente tali perché vincolati l’uno all’altro e nella realtà, ritorneremo a essere persone-cittadini. Perché le città possano diventare poli strategici, occorre partire dalla nostra capacità di essere soggetti storici in relazione.

Così argomentando, le città sono laboratori di inter-in-dipendenza. Siamo ormai interdipendenti ma abbiamo smarrito il senso del vincolo. Nei “dove” della nostra vita possiamo ri-trovare la complessità della relazione. L’inter-in-dipendenza si fonda sul vincolo: perché la nostra libertà ha il proprio limite nella dipendenza dall’altro e dall’ambiente: la relazione, dunque, comporta un profondo lavoro di relatività e di auto-critica. Il vincolo è tutt’altro che la nostra prigione bensì è la condizione perché il comune possa nascere. Nelle città, dove la vita scorre nella prossimità, siamo chiamati a un lavoro informale di ri-cucitura sociale e di ri-generazione per ri-costruire una consapevolezza del bene comune. Il tessuto cittadino, da ri-fondare attraverso il vincolo della relazione, si ri-genera anzitutto dal basso e nel profondo.

La città-laboratorio è un processo informale di civiltà, istituente nell’istituito. Non è un processo sostitutivo di quelli formali-istituzionali perché, come notano Giaccardi e Magatti (2022, pp. 161 e 162), non ci sarà mai alcun apparato istituzionale o tecnico in grado, da solo, di ricomporre creativamente i frammenti della realtà.

La città-laboratorio diventa principio di una democrazia-in-compimento ma mai compiuta. Una democrazia non solo costituita ma istituente(si), nella inter-in-dipendenza tra processi formali e informali; una democrazia in ricerca, che si ricerca nella com-presenza tra le istituzioni e una cittadinanza-in-progress, condizione di ri-generazione. In un percorso di civiltà, le città-laboratorio si ri-conoscono come vincoli complessi, in una com-partecipazione di destino territoriale tra pubblico e privato, per il comune.

Ri-costruire il comune è la condizione indispensabile per un progetto di civiltà. La città è straordinariamente interessante e ci permette di approfondire le dinamiche glocali che incidono sulla evoluzione, che è anche involuzione, del comune. Altresì, la città e il territorio sono sempre più luoghi di sperimentazione progettuale e acquistano importanza in termini geopolitici e geoeconomici: guardare a esse come poli strategici, transetnici, tecnologici, hub d’investimento,  significa considerare l’urbanizzazione uno dei mega-trend decisivi di questo terzo millennio. E’ ancora dalla e nella città che possono venire segnali chiari e buone pratiche utili a raggiungere i tanto attesi, e declamati, obiettivi di sostenibilità ambientale.

Bibliografia in progress

  • Chiara Giaccardi, Mauro Magatti, Supersocietà, il Mulino, Bologna 2022
Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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