(Marco Emanuele)
Mantenere vivo il dibattito, anche molto acceso, è cosa buona e giusta. C’è un conflitto ‘buono’, il confronto tra differenze, che è alimento della democrazia.
In questi giorni, ciò che accade nelle università mostra un tema importante e che cerchiamo di guardare con sguardo complesso. Se il conflitto ha un senso, la sua de-generazione è nel rimanere prigioniero di paradigmi lineari.
Che studenti e docenti siano da sempre ‘in confronto’ è positivo e che l’università debba ospitare posizioni anche divergenti lo è altrettanto. Ciò che colpisce è come evolve il dibattito, sorta di competizione all’ultimo sangue come accade nelle realtà (di guerra) che si analizzano.
Anche nelle università, i luoghi dedicati a immaginare l’oltre (il futuro già presente), lo scontro è del tutto novecentesco, partigiano, senza respiro. Occorrerebbe capire, nel tempo dell’intelligenza artificiale che corre velocissima, che le verità dogmatiche non hanno più cittadinanza. Un amico mi diceva che occorrerebbe ri-pensare il pensiero nel tempo che viviamo: quell’amico ha capito perfettamente perché esiste la nostra iniziativa.
Le verità dogmatiche sono diventate impossibili per l’intellettuale che – nel tempo della complessità crescente – voglia davvero calarsi nella realtà-che-diventa, che si prenda cura della ‘condizione umana’ e che intenda contribuire a elaborare ‘giudizio storico’ per nuove classi dirigenti. Se non nelle università, dove ?
Però, occorre stabilire un patto. Le università vanno intese come ‘pluriversitas’, luoghi della transdisciplinarità dove le discipline specialistiche si contaminano e si fecondano reciprocamente (non basta più parlare di multi e interdisciplinarità). E, ancora, nelle ‘pluriversitas’ devono affermarsi percorsi di ‘terza verità’, anzitutto comprendendo che nulla di ciò che accade può essere compreso, risolto e governato nella logica (lineare ed escludente) bianco/nero, amico/nemico.
Abbiamo bisogno di metodo complesso per lavorare in ciò che ci lega, indissolubilmente, comunque la pensiamo: la realtà. Dentro la critica, fuori dagli antagonismi, ricercando e dialogando.
(English version)
Keeping the debate alive, even if it is very heated, is a good and right thing. There is a ‘good’ conflict, the confrontation between differences, which is the nourishment of democracy.
These days, what happens in universities shows an important theme that we try to look at with a complex approach. If the conflict makes sense, its de-generation lies in remaining prisoner of linear paradigms.
The fact that students and teachers have always been ‘in comparison’ is positive and that the university must accommodate even divergent positions is equally positive. What is striking is how the debate evolves, a sort of life-or-death competition as happens in the (war) realities that are analysed.
Even in universities, the places dedicated to imagining the beyond (the future already present), the clash is entirely twentieth-century, partisan, breathless. It would be necessary to understand, in the age of artificial intelligence that runs very fast, that dogmatic truths no longer have citizenship. A friend told me that we need to re-think thinking in the times we live in: that friend understood perfectly why our initiative exists.
Dogmatic truths have become impossible for the intellectual who – in the time of growing complexity – really wants to immerse himself in the reality-that-becomes, who takes care of the ‘human condition’ and who intends to contribute to developing ‘historical judgement’ for new ruling classes. If not in universities, where?
However, a pact must be established. Universities should be understood as ‘pluriversitas’, places of transdisciplinarity where specialist disciplines contaminate and cross-fertilize each other (it is no longer enough to talk about multi- and interdisciplinarity). And, again, in the ‘pluriversitas’ paths of ‘third truth’ must be established, first of all by understanding that nothing of what happens can be understood, resolved and governed in the (linear and exclusionary) black/white, friend/enemy logic.
We need a complex method to work in what binds us, inextricably, however we think: the reality. Within criticism, outside antagonisms, researching and dialoguing.
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