Per un lavoro comune e complesso nella pace / For a common and complex work in peace

(M.E.)

Quotidianamente, calandoci nei mondi, scriviamo di pace. E’ tempo di cambiare via perché la pace è processo storico permanente: anzitutto è comprensione dei rapporti di potere, di ciò che evolve e involve ed è condizione essenziale per poter parlare di sviluppo (nella inarrestabile rivoluzione tecnologica) e di giustizia. I temi sono profondamente interrelati. La costruzione della pace tocca contemporaneamente tutti gli ambiti del nostro convivere: morale, culturale, politico-istituzionale, economico, giuridico. La pace si forma nel mosaico di complessità.

In un precedente contributo riflettevamo di compromesso e di mediazione: parole spesso sovrapposte, quasi avessero lo stesso significato, indicano invece strade diverse e a volte divergenti. Se è necessario raggiungere compromessi, il dialogo può fondarsi solo nella mediazione: perché è quest’ultima che genera ‘bene comune’, che aiuta le parti a percorrere l’oltre, che crea le condizioni per astrarre le volontà dalla partigianeria. Ciò che può apparire come una sfumatura, è invece sostanziale.

Tutti dovremmo comprendere quanto l’eccessiva partigianeria, radice malata della competizione selvaggia e della guerra, faccia de-generare i rapporti e le pratiche umane. C’è un punto di fondo che raramente affrontiamo: la pace-in-noi come condizione della pace-di-realtà. La cultura dell’indifferenza, dell’odio, dell’anti-a-prescindere (si pensi all’antisemitismo nel contesto del sempre risorgente ‘male banale’) crea una sorta di destino vizioso per un numero crescente di popoli nel mondo: il Vicino Oriente è drammatico laboratorio.

Tale riflessione profonda, che si sporca le mani nel girone dannato della nostra irresponsabilità, vuole significare che la parola pace è qualcosa di molto più serio della sua (talvolta) semplicistica evocazione: serve un lavoro comune e complesso, presa d’atto di ciò che vive nel profondo di una geopolitica che ‘passa sopra’; di ciò che ha decretato la fine del pensiero lineare e separante; di ciò che mostra i limiti del paradigma politico che ancora utilizziamo e che, invece, nulla ha a che fare con il futuro già presente.

(English version)

Every day, immersing ourselves in the worlds, we write about peace. It is time to change course because peace is a permanent historical process: first of all it is an understanding of power relations, of what evolves and involves and is an essential condition for being able to talk about development (in the unstoppable technological revolution) and justice. The themes are deeply interrelated. Peace building simultaneously affects all areas of our coexistence: moral, cultural, political-institutional, economic, legal. Peace is formed in the mosaic of complexity.

In a previous contribution we reflected on compromise and mediation: words that often overlap, almost as if they had the same meaning, instead indicate different and sometimes divergent paths. If it is necessary to reach compromises, dialogue can only be based on mediation: because it is the latter that generates ‘common good’, which helps the parties to go beyond, which creates the conditions to abstract wills from partisanship. What may seem like a nuance is actually substantial.

We should all understand how excessive partisanship, the diseased root of wild competition and war, de-generates human relationships and practices. There is a basic point that we rarely address: peace-in-us as a condition of peace-of-reality. The culture of indifference, of hatred, of anti-regardless (think of anti-Semitism in the context of the ever-resurgent ‘banal evil’) creates a sort of vicious destiny for a growing number of peoples in the world: the Neighbor East is dramatic laboratory.

This profound reflection, which gets in the damned circle of our irresponsibility, means that the word peace is something much more serious than its (sometimes) simplistic evocation: we need common and complex work, taking note of what lives in the depths of a geopolitics that ‘passes over’; of what decreed the end of linear and separating thinking; of what shows the limits of the political paradigm that we still use and which, instead, has nothing to do with the future that is already present.

(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)

 

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