Pur nella necessaria radicalità di un nuovo pensiero strategico (nella inter-in-dipendenza, verso la glocalizzazione), occorre muoversi per passaggi progressivi.
Vi è, anzitutto, la necessità di una crescente condivisione rispetto alle sfide planetarie. Scrive Ian Bremmer (Il potere della crisi, 2022, p. 111) rispetto ai cambiamenti climatici: Le scoperte nel campo delle tecnologie verdi e nella gestione del clima devono essere condivise con il mondo emergente per la stessa ragione per cui vanno condivisi i vaccini: come dimostrano i flussi di rifugiati, una crisi in un paese può innescare rapidamente un’emergenza in altri. Come per la pandemia, non potremo risolvere la sfida del cambiamento climatico in nessun luogo finché non l’avremo risolta ovunque.
Facile a dirsi, la prospettiva evocata da Bremmer si scontra, ed è notizia quotidiana, con gli interessi consolidati di Stati nazionali che pensano ancora di essere al e il centro delle relazioni internazionali. Oltre a planetarizzare anche istituzionalmente le sfide globali (con riferimento ai cambiamenti climatici, Bremmer, op. cit.-p. 112, propone la creazione di una Organizzazione mondiale del carbonio), occorre lavorare a livello di cultura politico-strategica perché gli Stati si de-radicalizzino e si ri-scoprano parte di un mosaico più grande di loro, quel “campo glocale” che è ben più largo dell’ “arena globalizzata”.
Un campo glocale che comprende gli Stati e tutti gli altri player (in particolare le aziende multinazionali) che pesano in maniera decisiva sul futuro delle relazioni internazionali e, in esse, della redistribuzione dei rapporti di potere.
Sempre guardando ai cambiamenti climatici, scrive Bremmer (op. cit., p. 114): (…) le imprese hanno i loro rischi climatici da gestire. Quelle che vantano un vero potere di mercato possono contribuire autonomamente al cambiamento positivo. Nel 2020 Walmart, il gigante delle vendite al dettaglio, si è impegnato non solo ad azzerare le proprie emissioni di carbonio entro il 2040, ma anche a imporre la decarbonizzazione a tutti gli attori che operano all’interno della sua filiera produttiva. Unilever, la multinazionale attiva nel settore dei beni di consumo, sta utilizzando le immagini satellitari e i dati di geolocalizzazione per “creare una catena di approvvigionamento senza deforestazione entro il 2023”. (…) All’inizio del 2020 il colosso del software Salesforce ha annunciato che avrebbe “sostenuto e mobilitato la conservazione e il restauro di cento milioni di alberi nel prossimo decennio” nell’ambito dell’iniziativa 1t.org, il programma del World Economic Forum che ha come obiettivo conservare, ripristinare e piantare mille miliardi di alberi entro il 2030. Salesforce sta inoltre mettendo a disposizione le sue formidabili tecnologie logistiche per affrontare la sfida organizzativa che il progetto implica. Ciò genererà opportunità future per l’azienda, che al tempo stesso si mette in buona luce presso i cittadini e i vari gruppi della società civile che giudicano le imprese in base alla loro responsabilità sociale.
Il tema dei cambiamenti climatici e della gestione del clima è solo una delle sfide planetarie che dobbiamo fronteggiare. Per dare maggior realismo alle nostre considerazioni, è chiaro che un ruolo-chiave lo svolgono le politiche-nel-mentre. La transizione ecologica è un tema di grande dibattito e lo vediamo particolarmente in questo periodo con la guerra in Ucraina: le opinioni si scontrano tra ricadute sugli utenti finali, differenti interessi geostrategici, tetti al prezzo del gas, tasse sulle emissioni nocive, investimenti massicci sulle energie rinnovabili, indipendenza energetica, differenziazione negli approvvigionamenti e così via. La decisione è complessa perché il quadro strategico è in movimento.
Ogni transizione può portare a risultati inattesi, complice l’”incertezza” (per questo, è decisivo riuscire ad analizzare il maggior numero possibile di dinamiche esistenti attraverso le soluzioni tecnologiche). Oggi, nella megacrisi che viviamo, il vero rischio è stare fermi, anzitutto culturalmente. L’inatteso non può bloccare un movimento realistico di ri-organizzazione strategica della globalizzazione in glocalizzazione: mediando, costruendo fronti efficaci di dialogo e maturando visioni nell’oltre, nel futuro già presente.