(Marco Emanuele)
Espressione utilizzata dallo storico Andrea Riccardi (2009), e riferita a Giorgio La Pira, ‘storiografia del profondo’ è un tema molto interessante per la nostra riflessione su nuovo umanesimo e pace.
Riferita all’oggi, la storiografia del profondo è la capacità di ri-trovare l’essenza della pace e dell’umanesimo in un momento – al contempo – di forte interrelazione e di profonda separazione e competizione. In aggiunta, ci muoviamo dentro uno straordinario progresso tecnologico che non può aspettare e che deve – in ogni istante – garantire avanzamenti: molto spesso senza riflessione.
Ci siamo appiattiti sulla inevitabilità del progresso senza calarci nelle complessità della condizione umana. Fare pace diventa difficile perché, limitandoci alla superficialità di ciò che accade, abbiamo sostanzialmente ‘abdicato’ al profondo, illudendoci che i nuovi poteri avrebbero sistemato le cose, creato le condizioni di uno sviluppo giusto e sostenibile.
Questo laissez-faire si è rivelato illusorio, auto-ingannevole. Di fatto, la responsabilità verso la Storia non è stata posta in cima al nostro impegno: ci siamo fidati della democrazia intesa come modello, sistema ‘meravigliosamente’ chiuso, e oggi dobbiamo fare i conti con la sua crisi de-generativa. Dentro il mondo interrelato, i regimi democratici non riescono a garantire rappresentatività e partecipazione. Le democrazie, illuminate dal progresso tecnologico, luce talvolta accecante, non hanno lavorato sulla loro sostanza profonda, il destino delle comunità umane, diventato progressivamente planetario.
Le classi dirigenti dei/nei sistemi democratici si sono ritrovate immerse in un mare di astensione, incuranti dell’incertezza e della conflittualità che, da elementi caratterizzanti la complessità dell’umano, si sono trasformati in insicurezza e in violenza.
In tal modo, le democrazie sono progressivamente diventate, negli ultimi trent’anni, generatrici di ‘tempo sospeso’ tra penombra e buio. Un tempo difficile da interpretare nel quale viviamo la crisi profonda dei paradigmi ereditati dal novecento e il rischio, molto evidente per chi lo voglia vedere, di tempi bui. Si tratta, responsabilmente, di cambiare via.
(English version)
Expression used by the historian Andrea Riccardi (2009), and referring to Giorgio La Pira, ‘historiography of the depths’ is a very interesting theme for our reflection on new humanism and peace.
Referring to today, historiography of the depths is the ability to re-find the essence of peace and humanism in a moment – at the same time – of strong interrelationship and profound separation and competition. In addition, we are moving within an extraordinary technological progress that cannot wait and which must – at every moment – guarantee advancements: very often without reflection.
We have focused on the inevitability of progress without delving into the complexities of the human condition. Making peace becomes difficult because, by limiting ourselves to the superficiality of what happens, we have essentially ‘abdicated’ the profound, deluding ourselves that the new powers would fix things, create the conditions for just and sustainable development.
This laissez-faire turned out to be illusory, self-deceptive. In fact, responsibility towards History was not placed at the top of our commitment: we trusted democracy understood as a model, a ‘wonderfully’ closed system, and today we have to deal with its de-generative crisis. Within the interrelated world, democratic regimes are unable to guarantee representativeness and participation. Democracies, illuminated by technological progress, a sometimes blinding light, have not worked on their profound substance, the destiny of human communities, which has become progressively global.
The ruling classes of/in democratic systems found themselves immersed in a sea of abstention, regardless of the uncertainty and conflict which, from elements characterizing the complexity of humanity, have transformed into insecurity and violence.
In this way, democracies have progressively become, over the last thirty years, generators of ‘suspended time’ between twilight and darkness. A difficult time to interpret in which we live the profound crisis of the paradigms inherited from the twentieth century and the risk, very evident for those who want to see it, of dark times. It’s about responsibly changing way.
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