(Marco Emanuele)
Dentro la grande trasformazione, nell’evoluzione dell’intelligenza artificiale, il nostro punto di riflessione è diverso, complesso. Lavoriamo per un pensiero trasformante
Potremmo immaginare, guardando al mondo futuro, un luogo senza dominio, senza armi, senza guerra, empatico, libero e liberante, pacificato. Una bellissima illusione, impossibile a realizzarsi ‘del tutto’ perché noi siamo gli artefici del mondo che viviamo. Per questo, il mondo è conflittuale e contraddittorio, imprevedibile come la nostra condizione umana.
Ciò che manca è, ai nostri occhi, del tutto evidente. Scriviamo di realismo ‘visionario’ perché crediamo che il futuro già presente, l’oltre, possa essere svelato solo attraverso un pensiero diverso da quello lineare e novecentesco che percorre tutti i nostri paradigmi culturali e operativi. L’intelligenza artificiale, più di altri fenomeni umani, ci mostra quanto siamo bloccati – culturalmente e politicamente – di fronte a un fenomeno che trasforma tutto ciò che conosciamo, non sappiamo ancora verso dove (per questo ci vuole tecno-realismo).
Anziché lavorare per un pensiero trasformante, crediamo di poter affrontare ciò che accade semplicisticamente distaccandoci, guardando dall’alto e trascurando ciò che vive nel profondo di noi e delle comunità umane. Al di là delle (apparenti) divergenze – riguardo all’intelligenza artificiale – tra i sostenitori del progresso senza limiti e quanti vorrebbero maggiore attenzione ai rischi possibili, divergenze che comportano imponenti spostamenti di risorse finanziarie, è innegabile che vi sia una grande trasformazione in atto. Perché le tecnologie ‘disruptive’, intelligenza artificiale in testa, non solo agiscono per affrontare crisi sensibili come il climate change o per migliorare i servizi alla salute o per rendere più efficace ed efficiente il governo delle città e dei territori ma impattano anche sulla natura e sul futuro della guerra, sul linguaggio, sulla misinformazione e disinformazione, sulla qualità dei sistemi democratici.
L’approccio complesso, ormai dentro al terzo millennio, non è più eludibile. Noi intendiamo contribuire nel fare cultura su questo e accogliere la sfida di Edgar Morin e di Mauro Ceruti che, tra gli altri, da decenni pongono il tema di una umanizzazione della modernità, per un nuovo umanesimo planetario. Ma, ormai è chiaro, se non passiamo da una metanoia-in-noi, il pensiero trasformante resterà grido nel deserto. E invece, come fu all’inizio, occorre che le nostre parole ri-nascano dal silenzio profondissimo (per questo, realistico) della riflessione.
(English version)
Inside the great transformation, in the evolution of artificial intelligence, our point of reflection is different, complex. We work for transforming thinking.
We could imagine, looking at the future world, a place without domination, without weapons, without war, empathetic, free and liberating, pacified. A beautiful illusion, impossible to fully realize because we are the creators of the world we live in. For this reason, the world is conflictual and contradictory, unpredictable like our human condition.
What is missing is, in our eyes, completely evident. We write about ‘visionary’ realism because we believe that the future already present, the beyond, can only be revealed through a thought different from the linear and twentieth-century one that runs through all our cultural and operational paradigms. Artificial intelligence, more than other human phenomena, shows us how blocked we are – culturally and politically – in the face of a phenomenon that transforms everything we know, we don’t yet know where (this is why techno-realism is needed).
Instead of working towards a transforming thinking, we believe we can deal with what happens simplistically by detaching ourselves, looking from above and neglecting what lives deep within us and human communities. Beyond the (apparent) divergences – regarding artificial intelligence – between supporters of unlimited progress and those who would like greater attention to possible risks, divergences that involve massive shifts in financial resources, it is undeniable that there is a great transformation underway. Because ‘disruptive’ technologies, led by artificial intelligence, not only act to address sensitive crises such as climate change or to improve health services or to make the government of cities and territories more effective and efficient, but also impact on the nature and on the future of war, on language, on misinformation and disinformation, on the quality of democratic systems.
The complex approach, now entering the third millennium, can no longer be avoided. We intend to contribute creating culture on this and accept the challenge of Edgar Morin and Mauro Ceruti who, among others, have for decades been raising the theme of a humanization of modernity, for a new planetary humanism. But, it is now clear, if we do not move on from a metanoia-in-us, transforming thinking will remain a cry in the desert. And instead, as it was at the beginning, our words need to be re-born from the very profound (therefore realistic) silence of reflection.
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