(Marco Emanuele)
Tra visioni apocalittiche e vari approcci buonisti, il tema epocale delle migrazioni è limitato e sacrificato, nella vecchia Europa, alla ormai esplosa campagna elettorale. Eppure resta la questione del governo del fenomeno.
E’ del tutto inopportuno seminare paure mediatiche a uso di popolazioni già sufficientemente provate dagli effetti di una pandemia, dalle notizie non confortanti di una sua riproposizione, dall’alto costo della vita, da antiche disuguaglianze e da guerre che sono sempre sull’orlo di uscire dal loro ambito locale o regionale. E’ altrettanto inopportuno ridurre il fenomeno migratorio alle sole ragioni della solidarietà umana. C’è molta geopolitica, lo sappiamo bene, e altrettanto bisogno di regolamentazione e di regolazione di flussi che, se oggi non rappresentano un’emergenza, in un prossimo (alcuni dicono molto prossimo …) futuro potrebbe esplodere. In sostanza, è del tutto inopportuno, soprattutto da parte delle classi dirigenti politiche, legare la narrazioni delle migrazioni a un consenso popolare che si fa, ogni giorno di più, più immediato e più fragile.
Nessuno Stato nazionale, a cominciare dall’Italia, può pensare di risolvere un problema epocale in maniera autonoma, sovrana. Non foss’altro per ragioni geografiche, l’Italia è tappa pressoché obbligata per l’umanità che sbarca: carenza di fiducia e di solidarietà europee, altalenanti come le lucine dell’albero di Natale, dice a Roma che ha una responsabilità derivante dalle norme di Dublino. Un trattato, lo ricordiamo ai più distratti, che il ben poco sovranista Presidente Mattarella ha archiviato come anti-storico, legato a una situazione che non c’è più. Dopo gli sbarchi, solidarietà europea vorrebbe che ci fosse un meccanismo di redistribuzione basato su flussi chiari e determinati. Nel tempo della campagna elettorale, però, ciò sembra impossibile. La realtà, purtroppo, è fatta di sovranismi più o meno dolci che ci mostrano tante volontà sovrane che urlano, in modi diversi, ‘non in casa mia’.
C’è molta geopolitica, e ci torneremo, soprattutto nei rapporti tra un’Europa sommatoria di sovranismi e un’Africa dalle grandi opportunità e dalle altrettante sofferenze (senza dimenticare il tema demografico). Cominciamo con il dire che i piani nazionali per l’Africa sono una pericolosa chimera: o l’Europa si muove verso un continente predato da nuovi colonialismi, per un giusto sviluppo ‘in loco’ e ‘in partnership’, o il ‘vecchio continente’ sarà vittima, tra non molto tempo, del rovesciamento del planisfero. Attenzione, dunque, a non considerare le nostre campagne elettorali come primo punto nella lista delle priorità strategiche.
(English version)
Amid apocalyptic visions and various feel-good approaches, the epoch-making topic of migration is limited and sacrificed, in old Europe, to the now exploding election campaign. Yet the question of governing the phenomenon remains.
It is totally inappropriate to sow media fears for the benefit of populations already sufficiently tried by the effects of a pandemic, by the not reassuring news of its reappearance, by the high cost of living, by ancient inequalities and by wars that are always on the brink of going beyond their local or regional scope. It is equally inappropriate to reduce the migration phenomenon to reasons of human solidarity alone. There is much geopolitics, as we well know, and just as much need for law regulation of flows that, if do not represent an emergency today, could explode in the near (some say very near …) future. In essence, it is totally inappropriate, especially on the part of the political ruling classes, to tie the migration narrative to a popular consensus that is becoming, day by day, more immediate and more fragile.
No nation State, starting with Italy, can think of solving an epoch-making problem in an autonomous, sovereign manner. If for no other reason than geography, Italy is an almost obligatory stopover for the humanity that disembarks: a lack of European trust and solidarity, swinging like the lights on the Christmas tree, tells Rome that it has a responsibility stemming from the Dublin rules. A treaty, we remind the most distracted, which the not sovereignist President Mattarella dismissed as anti-historical, linked to a situation that no longer exists. After the landings, European solidarity would like there to be a redistribution mechanism based on clear and determined flows. At election campaign time, however, this seems impossible. Reality, unfortunately, is made up of more or less gentle sovereignisms that show us many sovereign wills shouting, in different ways, ‘not in my house’.
There is a lot of geopolitics, and we will come back to it, especially in the relations between a Europe that is a sum of sovereignisms and an Africa of great opportunities and just as much suffering (without forgetting the demographic issue). Let us begin by saying that national plans for Africa are a dangerous chimera: either Europe moves towards a continent preyed upon by new colonialisms, for a just development ‘on the spot’ and ‘in partnership’, or the ‘old continent’ will be the victim, before long, of the overthrow of the planisphere. Beware, therefore, of considering our election campaigns as the first item on the list of strategic priorities.
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