The Global Eye affronta il tema dei migranti in uno dei luoghi caldi degli sbarchi dove è partito un programma per incentivare la mediazione culturale
The Global Eye addresses the issue of migrants in one of the hotspots of landings where a programme to promote cultural mediation has started
(testo e foto di Carlo Rebecchi)
Roccella Jonica è una cittadina che si affaccia su un mare blu, le sue spiagge sono bianche e lunghissime, l’aria porta il sale del mare ma da qui si vive soprattutto dal di dentro il dramma della migrazione.
Proprio qui siamo venuti per conoscere senza filtri questo luogo che rappresenta una delle due porte per l’ingresso in Europa. Una è Roccella, l’altra è l’isola di Lampedusa, dove tocca terra il 90 per cento di chi, dalle coste del Nordafrica e dai Paesi dell’Africa subsahariana, sfida la morte per entrare in Europa.
A Roccella Jonica vivono seimila persone e quest’anno ci sono stati finora 43 sbarchi con circa seimila arrivi. Qui giunge il 10 per cento dei migranti prevalentemente provenienti dal Medio Oriente che prendono il mare dalla Turchia: si tratta in gran parte di siriani, afghani, pakistani, ma anche di ucraini, iraniani e presto, si prevede, armeni.
‘Nel 2021 erano arrivati qui diecimila migranti, l’anno scorso diciottomila. E quest’anno ne sono già sbarcati tanti quanti sono gli abitanti del posto, circa seimila’ spiega Pier Lorenzo Montina, dirigente dell’ufficio immigrazione della Questura di Reggio Calabria. Niente a che vedere con Lampedusa, dove gli arrivi sono dieci volte maggiori.
The Global Eye ha scelto Roccella come punto di osservazione per affrontare l’argomento migrazioni attraverso esempi di solidarietà possibili che contribuiscono a creare la nuova cultura dell’accoglienza che porta con sé i principi del rispetto e del ‘futuro già presente’ e che dovrebbe seguire un unico principio, quello della reciprocità intelligente.
Bisogna ripensare l’immigrazione anche partendo da atti logici ed essenziali.
Pochi giorni fa a Roccella c’è stato un importante esempio di solidarietà attiva. Il governo svizzero ha finanziato per tre mesi, con una spesa di 500.000 euro, un programma che vede impegnati a terra e sulle unità di salvataggio 56 mediatori culturali inquadrati operativamente nell’OIM, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per le Migrazioni.
Fino a pochi anni fa sulle unità della guardia costiera e a terra c’erano degli interpreti, spesso improvvisati mentre oggi c’è un personale appositamente preparato, per l’appunto i mediatori culturali, che accolgono il migrante non solo parlando la sua lingua, ma anche interessandosi ai suoi problemi personali, inquadrandone le origini e le necessità familiari e soprattutto spiegando le procedure, perché nessuno si senta un numero in un mondo ignoto. Il termine di riferimento è una “accoglienza umana”, particolarmente importante sia che si tratti di una donna o o di un bambino magari non accompagnato, o di un qualsiasi adulto.
Ma la presenza dei mediatori culturali è ‘fondamentale’ anche per tutti coloro che partecipano ai salvataggi. Lo è per chi arriva e lo è per chi va a raccogliere i migranti in alto mare, per portare aiuto e fiducia a chi è stremato dal viaggio su quelle vecchie carrette. Il mediatore trasmette fiducia, le operazioni di trasbordo sono facilitate, e una volta a terra il disbrigo delle formalità per l’identificazione e l’avvio verso una nuova vita diventano operazioni un pò più normali. Sono quasi 200 i mediatori culturali che l’OIM schiera nel Mediterraneo, e molti di loro sono stati anch’essi dei migranti che hanno raggiunto l’Italia con gli stessi mezzi e le stesse paure di quelli che arrivano, sempre più numerosi, ogni giorno. L’impegno dell’OIM è cresciuto, spiega il loro coordinatore per il Mediterraneo, Laurence Hart, con l’obiettivo di dare ai mediatori una formazione sempre maggiore, soprattutto per proteggere le categorie più fragili.
La mediazione è anche l’anello indispensabile per dare avvio a programmi di inclusione e di formazione propedeutici al vero inserimento delle persone e per umanizzare il loro futuro nell’ambito delle esigenze del Paese di accoglienza.
(English version)
Roccella Jonica is a town that overlooks a blue sea, its beaches are white and very long, the air carries the salt of the sea, but from here you can experience above all from within the drama of migration.
It was here that we came to get to know without filters this place that represents one of the two gateways to Europe. One is Roccella, the other is the island of Lampedusa, where 90 per cent of those who, from the coasts of North Africa and sub-Saharan African countries, defy death to enter Europe touch land.
Six thousand people live in Roccella Jonica and so far this year there have been 43 landings with about six thousand arrivals. This is where 10 per cent of the migrants arrive, mostly from the Middle East who take the sea from Turkey: they are mostly Syrians, Afghans, Pakistanis, but also Ukrainians, Iranians and soon, it is expected, Armenians.
‘In 2021 ten thousand migrants arrived here, last year eighteen thousand. And this year as many have already landed as there are locals, around six thousand,’ explains Pier Lorenzo Montina, director of the immigration office at the Questura in Reggio Calabria. Nothing compared to Lampedusa, where arrivals are ten times higher.
The Global Eye has chosen Roccella as a vantage point to address the topic of migration through examples of possible solidarity that contribute to creating the new culture of reception that brings with it the principles of respect and the ‘future already present’ and that should follow a single principle, that of intelligent reciprocity.
We must also rethink immigration starting from logical and essential acts.
A few days ago in Roccella there was an important example of active solidarity. For three months, the Swiss government has financed, at a cost of 500,000 euros, a programme that sees 56 cultural mediators working ashore and on the rescue units, who are operatively part of the IOM, the United Nations Organisation for Migration.
Until a few years ago, there were interpreters, often improvised, on the coastguard units and on land, while today there are specially trained personnel, the cultural mediators, who welcome migrants not only by speaking their language, but also by taking an interest in their personal problems, explaining their origins and family needs and above all by explaining the procedures, so that no one feels like a number in an unknown world. The term of reference is a ‘human welcome’, which is particularly important whether it is a woman or a child, perhaps unaccompanied, or any adult.
But the presence of cultural mediators is also ‘fundamental’ for all those involved in rescues. It is so for those who arrive and it is so for those who pick up migrants on the high seas, to bring help and confidence to those exhausted by the journey on those old wrecks. The mediator conveys confidence, the transhipment operations are facilitated, and once ashore the processing of identification formalities and the start towards a new life become somewhat more normal operations. There are almost 200 cultural mediators that IOM deploys in the Mediterranean, and many of them were themselves migrants who reached Italy with the same means and the same fears as those who arrive, more and more numerous, every day. IOM’s commitment has grown, explains their Mediterranean coordinator, Laurence Hart, with the aim of giving mediators more and more training, especially to protect the most fragile groups.
Mediation is also the indispensable link in initiating inclusion and training programmes preparatory to the true integration of people and to humanising their future within the needs of the host country.
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