L’orizzonte politico

Siamo immersi in un cambio di era, fase storica dalla crescente complessità.

E’ importante conoscere e saper discernere i “segni dei tempi”, ri-fletterci in essi. La conoscenza e il discernimento non possono che avvenire in forma complessa e critica, dunque auto-critica: le direzioni della storia si modellano attraverso l’esercizio della nostra responsabilità che è il talento di rispondere, con tutti i nostri limiti, alle chiamate della storia stessa.

Le difficoltà di orientarci in ciò che viviamo sono evidenti: ci troviamo, infatti, nella delicata fase di transizione da un ordine che non c’è più a uno che non c’è ancora e che, unica certezza che abbiamo, non sarà più come quello che conoscevamo. Siamo sospesi tra ciò che siamo stati e ciò che diventiamo, avvolti nell’incertezza: le certezze che avevamo non bastano più.

Senza generalizzare, le classi dirigenti non sembrano aver colto, nella comunicazione con la realtà nel suo complesso, cosa significhi vivere il cambio di era e di quanto, in questa fase, tutte le soluzioni ancora tarate sulle caratteristiche del mondo precedente si rivelino inadeguate: questo avviene in tutti i campi, dal lavoro alla sanità, dall’istruzione al welfare state, dalla trasformazione digitale alla transizione ecologica, dalle trasformazioni istituzionali alle questioni internazionali. Disorientati, siamo alla ricerca di una “bussola geostrategica”: ma i suoi fondamenti vanno continuamente pensati.

Il nostro spirito è di camminare nell’oltre, di immaginare il futuro già presente e di immaginarci in esso: intanto, il governo del e nel cambio di era deve avvenire grazie a una politica adulta, capace di uscire dagli ideologismi novecenteschi per affrontare pragmaticamente la fase che stiamo vivendo e per porre le basi di una ri-nascita della politica. Il punto decisivo riguarda la co-esistenza, nell’agire, di mediazione e di visione: le due dimensioni non possono essere separate.

Un tema decisamente interessante per comprendere la complessità dell’agire politico è quello delle migrazioni. Planetario e strutturale, ma anche locale perché trasforma i territori e le consuetudini in essi maturate, il fenomeno migratorio chiama a soluzioni di governo dell’esistente ma anche a visioni che tengano conto della insufficienza degli Stati burocratici (radicalizzati nei loro confini ormai anti-storici), della miriade di soggetti in campo (le Istituzioni e le Organizzazioni internazionali, le Chiese – con tutte le loro strutture e attività -, le organizzazioni del privato sociale e  le comunità informali) e delle periferie che raramente entrano nelle cronache della retorica insostenibile di un mondo che si immagina fondato su un centro che si popola continuamente di player, non solo statuali, in competizione.

La politica non può che rinascere nel dialogo, processo complesso, dialettico e dialogale. Il dialogo non si sviluppa mai in maniera lineare e neutra ma porta dentro le differenze dei dialoganti e, dunque, la naturale possibilità di conflitti. Il dialogo non è questione semplificabile ma è politicamente rilevante perché incrocia non soltanto l’incontro-confronto tra differenze ma anche i temi del perdono, della riconciliazione e della ricerca di verità: si pensi ai tanti casi, in giro per il mondo, di ricostituzione della fiducia in contesti lacerati da infinite guerre civili.

L’orizzonte politico, al contempo pragmatico e visionario, non può che svilupparsi dall’alto e nel profondo. Proprio perché siamo in un cambio di era, traumatico sotto molti aspetti ma anche ricco di potenzialità (che la nostra responsabilità può trasformare in  possibilità per ciascuno e per tutti), bisogna cogliere l’opportunità di inventare nuovi significati per un nuovo agire. Il tema è “glocale” che, fuori dalle espressioni di moda, significa considerare come decisivi sia l’apparentemente piccolo lavoro a salvaguardia di ogni vita (1) in ogni contesto sia le (altrettanto necessarie) grandi strategie sui temi di respiro planetario.

Dobbiamo ri-fletterci nei “segni dei tempi”. Ri-flettersi significa che, per conoscere, dobbiamo continuamente fare i conti con le contraddizioni che siamo e che generiamo. Da qui vengono le difficoltà di elaborare un “giudizio storico” sulla realtà in evoluzione-involuzione: quel giudizio è impossibile se non partendo dall’auto-critica di ciò che è accaduto (almeno) negli ultimi trent’anni della nostra storia. Oggi, oltre che in un cambio di era, ci troviamo nella situazione ben descritta da Antonio Spadaro (2023): La crisi globale, in realtà, prende varie forme e si esprime in conflitti, dazi, fili spinati, crisi migratorie, regimi che cadono, nuove alleanze minacciose e vie commerciali che aprono la strada a ricchezza, ma anche a tensioni. Si può costruire una mappa di queste ferite aperte e sanguinanti, peraltro sempre incompleta. (2)

La domanda è: come possiamo costruire un orizzonte politico sulla base di una mappa sempre incompleta della crisi globale ? In quella che abbiamo definito “una fase storica dalla crescente complessità” ciò che deve trasformarsi è il nostro pensiero sul mondo. Abbiamo bisogno di un pensiero “nei” mondi e nel mondo, complesso e critico (anzitutto auto-critico), che consideri la propria incompletezza come un valore: è solo attraverso questa consapevolezza che dimostreremo di aver capito il nostro ruolo storico, consci dei nostri limiti.

Tre elementi, tra gli altri, sono fondamentali:

  • siamo dentro una megacrisi de-generativa. Non sommatoria ma interrelazione di tante crisi de-generative in pericolosa “saldatura” l’una nell’altra, la megacrisi si presenta come un unicum e i suoi effetti entrano nei nostri territori senza chiedere permesso e, soprattutto, senza fermarsi per i controlli ai confini;
  • la rivoluzione tecnologica, tra opportunità e rischi, è ciò che sta modificando radicalmente il nostro essere, la convivenza e l’assetto delle relazioni internazionali. Richiamiamo Paolo Benanti (2021): Se da un lato è innegabile che gli esseri umani sono in co-evoluzione con le loro tecnologie fin dagli albori della preistoria, ciò che ora appare diverso e nuovo è il fatto che siamo passati al di là di interventi tecnologici esterni per trasformare noi stessi dall’interno verso l’esterno – fino a poter rifare il sistema Terra stesso. (3);
  • occorre individuare “per cosa lavoriamo”: verso la sostenibilità politico-strategica dei mondi e del mondo, nel quadro di un “destino planetario – Terra Patria”, i punti di svolta consistono: nel recuperare e nel porre al centro del mosaico-mondo la relazione (mai neutra e lineare e sempre contraddittoria in quanto incontro-dialogo di e tra differenze); nel considerare decisivo il tema dello sviluppo umano integrale di ogni persona, di ogni comunità umana, di ogni contesto nel quadro dei rapporti di potere esistenti e del mondo, e dei mondi, nel loro “farsi”.

Riferimenti – note:

(1) Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia (Papa Francesco, enciclica “Fratelli Tutti”, n. 261)

(2) Antonio Spadaro, L’atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale, Marsilio 2023, p. 8

(3) Paolo Benanti, Tecnologia per l’uomo. Cura e innovazione, San Paolo 2021, p. 6. Ancora Benanti (cit., pp. 18 e 19): L’artefatto tecnologico non è più un mero utensile affidato, tramite il suo manicum, all’azione dell’uomo. L’artefatto non è nemmeno una macchina industriale che nel suo ripetitivo e definito operare trasforma il mondo obbedendo a logiche industriali, lasciando all’uomo il mero controllo del suo avvio e del suo arresto mediante leve e pulsanti. L’artefatto oggi si fa dispositivo informatico, si fa machina sapiens – almeno nelle versioni più avanzate che oggi mostrano smartphone e computer – cioè dispositivo che imita parti di quelle capacità uniche che ci fanno umani. E questo ci interroga profondamente.

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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