Non si può affrontare un tema complesso e strutturale come quello delle migrazioni concentrandosi solo sulla cronaca. La tragedia umana che è successa in queste ore sulle coste della Calabria sta dentro un discorso ben più ampio, planetario.
Si tratta di una sfida epocale. Dentro la megacrisi de-generativa nella quale siamo immersi, la mobilità umana “costretta” è destinata ad accrescersi negli anni a venire e riguarderà sempre di più l’intero pianeta. Di fronte a questo, la politica non c’è mentre la partitica abbonda.
Non cogliere l’inter-in-dipendenza che caratterizza l’architettura del mondo che viviamo è il più grande segno di debolezza delle classi dirigenti. Inter-in-dipendenza significa che il nostro destino è vincolato a quello di ogni altro e che, di conseguenza, nulla di ciò che accade è separato dal resto. In aggiunta, inter-in-dipendenza significa che la nostra responsabilità verso le migrazioni è globale perché riguarda un fenomeno umano che ci comprende e ci supera.
Tale prospettiva, inevitabilmente, dovrebbe calarsi in politiche che non possono che essere complesse, a cominciare dalla capacità di governo. La partita in gioco è ben più ampia del governo dei flussi: la mobilità “costretta” è un tema geostrategico e riguarda direttamente la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi.
Per restare nella nostra parte di mondo, l’Europa è giustamente chiamata in causa. Ma, realisticamente, dovremmo domandarci: quale Europa ? L’enorme burocrazia del Vecchio Continente non sembra cogliere la gravità, l’urgenza e gli stravolgimenti storici che il tema della mobilità “costretta” comporta. Questo è il livello geostrategico della questione.
Se è difficile governare politicamente un fenomeno epocale, è altrettanto vero che la voce europea è inesistente. E lo è soprattutto dal punto di vista della visione a medio-lungo termine. Gli esperti diranno cosa occorre cambiare a livello normativo (in particolare, il Trattato di Dublino) ma il problema è anzitutto culturale, politico, geostrategico: il tema riguarda il posizionamento dell’Europa rispetto al Mediterraneo “allargato”. Le rotte dei migranti ci dicono quanta complessità il tema porti con sé: ci dice, altresì, come siano diverse e diversificate le realtà dei Paesi di partenza e come debbano essere diverse e diversificate le possibili risposte operative.
La fragilità dell’Europa non è solo nella visione ma anche, se non soprattutto, nelle sue divisioni interne. Le classi dirigenti faticano a comprendere che il fenomeno migratorio non può essere governato a seconda degli egoismi nazionali, pur salvaguardando l’interesse dei singoli Paesi.
Se non si arriverà a un discorso politicamente realistico sulle migrazioni, il futuro non sarà sostenibile. Perché, ormai il tema è charo, la disperazione in molti Paesi del mondo è tale da indurre i genitori a sacrificare anche i propri figli in tragici viaggi della speranza. Solo un’Europa politicamente attenta al fenomeno migratorio, proattiva e che si apra davvero al contesto complesso del Mediterraneo “allargato”, potrà avere la forza di spezzare le catene di una criminalità transnazionale che, in maniera contraria a ogni forma di umanità prima che alla legalità, gestisce il traffico di esseri umani.
(English version)
A complex and structural issue such as migrations cannot be tackled by focusing only on the news. The human tragedy that has happened in these hours on the coasts of Calabria is part of a much broader, planetary discourse.
It is an epochal challenge. Within the de-generative megacrisis in which we are immersed, ‘forced’ human mobility is destined to increase in the years to come and will increasingly affect the entire planet. In the face of this, politics is not there while party politics abounds.
Not grasping the inter-in-dependence that characterises the architecture of the world we live in is the greatest sign of weakness of the ruling classes. Inter-in-dependence means that our destiny is bound to that of each other and that, consequently, nothing that happens is separate from the rest. In addition, inter-in-dependence means that our responsibility towards migrations is global because it concerns a human phenomenon that encompasses and exceeds us.
Such a perspective, inevitably, would have to descend into policies that can only be complex, starting with governance capacity. The game at stake is much broader than governing flows: ‘forced’ mobility is a geostrategic issue and directly concerns the political-strategic sustainability of the world and worlds.
To stay in our part of the world, Europe is rightly called into question. But, realistically, we should ask ourselves: which Europe? The enormous bureaucracy of the Old Continent does not seem to grasp the seriousness, the urgency and the historical upheavals that the issue of ‘forced’ mobility entails. This is the geostrategic level of the issue.
If it is difficult to politically govern an epoch-making phenomenon, it is equally true that the European voice is non-existent. And it is especially so from the point of view of medium- to long-term vision. Experts will say what needs to be changed at the regulatory level (in particular, the Dublin Treaty), but the problem is first and foremost cultural, political, geostrategic: the issue concerns Europe’s position with respect to the ‘enlarged’ Mediterranean. The migrants’ routes tell us how complex the issue is: it also tells us how different and diversified the realities of the countries of departure are and how different and diversified the possible operational responses must be.
Europe’s fragility is not only in its vision but also, if not above all, in its internal divisions. The ruling classes are struggling to understand that the migration phenomenon cannot be governed according to national egoisms, while safeguarding the interests of individual countries.
Unless a politically realistic discourse on migration is achieved, the future will not be sustainable. Because, the issue is now clear, the desperation in many countries of the world is such that parents are willing to sacrifice even their own children on tragic journeys of hope. Only a Europe that is politically attentive to the migration phenomenon, proactive and truly open to the complex context of the ‘enlarged’ Mediterranean, will have the strength to break the chains of a transnational criminality that, in a manner contrary to every form of humanity before legality, manages the trafficking of human beings.