(Marco Emanuele)
Viene il tempo delle grandi domande: ci siamo arrivati. Tutte le certezze che consideravamo indiscutibili, a cominciare dalla presunta irreversibilità del modello democratico, sono in discussione.
Le domande e i dubbi fanno bene alle democrazie. Essi, infatti, servono a comprendere che nulla è dato per sempre e che le democrazie, e ciascuno di noi in esse, hanno una responsabilità grande: trasformarsi nella grande trasformazione in atto.
Oggi si scontrano la fluidità e la radicalità dei processi storici, primi fra tutti la guerra (parte di una ‘policrisi’ evidente e profonda) e la rivoluzione tecnologica, con la rigidità di stati sempre più burocratici e di democrazie sempre più ‘svuotate’. Partendo da stati e democrazie, non possiamo non notare come – almeno dal crollo dell’Unione Sovietica – sia mancata una visionaria riflessione politica.
Servono sintesi nuove: per costruire mediazioni realistiche tra i flussi della globalizzazione e le realtè territoriali e nazionali; per permettere ai sistemi democratici di essere generatori di ‘futuri possibili’; per rafforzare la ‘resilienza dinamica’ delle democrazie nell’interesse delle comunità umane che le vivono.
Come non vedere che la guerra-policrisi e la rivoluzione tecnologica stanno rendendo inutili tutti i paradigmi culturali e operativi che abbiamo ereditato dal ‘900 ? Cosa significa oggi parlare di pace, di sviluppo, di giustizia, di libertà ? Senza generalizzare, molti intellettuali e rappresentanti di classi dirigenti si concentrano piuttosto sulle conseguenze di ciò che accade senza interrogarsi sulle cause all’origine. Solo capendo ciò che manca, e ripensandolo secondo un pensiero inevitabilmente complesso, potremo percorrere l’oltre, peraltro già parte del nostro presente.
E’ decisivo approfondire l’occasione mancata della trasformazione di inizio anni ’90 del secolo scorso. Anziché capire che era venuto il tempo di ripensare tutto, abbiamo adottato la tattica del ‘laissez faire’ e gli ‘spiriti animali’, identitari ed economici, sono tornati e rischiano di travolgerci. Ma, forse, non è troppo tardi per cambiare via.
(English version)
The time comes for the big questions: we have arrived. All the certainties that we considered indisputable, starting with the presumed irreversibility of the democratic model, are in discussion.
Questions and doubts are good for democracies. In fact, they serve to understand that nothing is given forever and that democracies, and each of us, have a great responsibility: to transform themselves in the ongoing great transformation.
Today the fluidity and radicality of historical processes, first of all war (part of a clear and profound ‘polycrisis’) and the technological revolution, clash with the rigidity of increasingly bureaucratic states and increasingly ’emptied’ democracies. Starting from states and democracies, we have to underline that – at least since the collapse of the Soviet Union – there has been a lack of visionary political reflection.
New syntheses are needed: to build realistic mediations between the flows of globalization and territorial and national realities; to allow democratic systems to be generators of ‘possible futures’; to strengthen the ‘dynamic resilience’ of democracies in the interest of the human communities living in.
How can we not see that the war-polycrisis and the technological revolution are making all the cultural and operational paradigms that we inherited from the 1900s useless? What does it mean today to talk about peace, development, justice, freedom? Without generalizing, many intellectuals and representatives of the ruling classes focus instead on the consequences of what happens without questioning the underlying causes. Only by understanding what is missing, and rethinking it according to an inevitably complex thinking, will we be able to travel to the beyond, which is already part of our present.
It is crucial to delve deeper into the missed opportunity of the transformation of the early 90s of the last century. Instead of understanding that the time had come to rethink everything, we adopted the ‘laissez faire’ tactic and the ‘animal spirits’, both identity and economic, are back and risk overwhelming us. But, perhaps, it is not too late to change way.
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