(Marco Emanuele)
Le nostre bandiere di parte sono sempre più fragili rispetto alla potenza della Storia.
Siamo a un punto di svolta ed è necessaria una grande trasformazione nella mediazione e nella visione, passando dal linguaggio. Gli umori del disagio non dovrebbero diventare rumore politico, di fondo. Quel rumore tattico serve solo per un consenso immediato: nulla a che fare con il resto, la realtà.
Due opposti si confrontano aspramente: da un lato, chi inveisce sventolando le bandiere del ‘ritorno a casa’; dall’altro, chi inveisce sventolando le bandiere del mondo aperto, dell’europeismo, dell’atlantismo. Vi sono ragioni da entrambe le parti ma, a ben guardare, entrambe le posizioni sono accomunate dallo stesso limite. Nessuna di esse, infatti, scalfisce minimamente i poteri che condizionano profondamente le nostre vite, al di là delle bandiere.
Mediocrità, linearità, moltissima tattica: ecco a cosa si è ridotta la politica. Ma, al di là di questo, pochissimo senso della Storia e ancora meno riflessione in essa. Viviamo in un mondo in ridefinizione come ‘arena planetaria’ (guerre come morte della politica), dove si consumano (un pò ovunque) dispute territoriali (ultimo caso, il referendum di Maduro sull’Esequibo), dentro una policrisi de-generativa (tante dichiarazioni alla COP28 ma nella casa dorata dei massimi produttori di fossili …), avvolti nelle frontiere tecnologiche che – lo vogliamo o no – sono e saranno segno del nostro futuro (già presente).
Eppure, in tutto questo, sventolano le bandiere fragili. Il vento le porterà via, inevitabilmente, come posizioni anti-storiche che avranno, come unico effetto, la radicalizzazione reciproca e l’allargamento dell’astensione. Tutti dovremmo riflettere, magari tornando alla complessità.
(English version)
Our partisan flags are increasingly fragile compared to the power of History.
We are at a turning point and a major transformation is needed in mediation and vision, moving from language. The moods of unease should not become political, background noise. That tactical noise only serves for immediate consensus: nothing to do with the rest, reality.
Two opposites clash bitterly: on the one hand, those who rail while waving the ‘homecoming’ flags; on the other, those who rail while waving the flags of the open world, of Europeanism, of Atlanticism. There are reasons on both sides but, upon closer inspection, both positions share the same limitation. In fact, none of them makes the slightest difference to the powers that profoundly influence our lives, beyond flags.
Mediocrity, linearity, a lot of tactics: this is what politics has been reduced to. But, beyond this, very little sense of History and even less reflection in it. We live in a world that is being redefined as a ‘planetary arena’ (wars as the death of politics), where territorial disputes are taking place (almost everywhere – the latest case, Maduro’s referendum on Esequibo), within a de-generative polycrisis (many declarations at COP28 but in the golden house of the greatest fossil producers…), wrapped in technological frontiers which are and will be a sign of our (already present) future.
Yet, in all of this, fragile flags fly. The wind will inevitably take them away as anti-historical positions which will have, as their only effect, mutual radicalization and the widening of abstention. We should all reflect, perhaps returning to complexity.
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