(Maurizio Zandri)
L’attacco ad Israele, Hamas e la crisi in Medio Oriente (prima parte)
Le azioni brutali di Hamas, finalizzate a terrorizzare, dicono dunque che Hamas non intende tornare indietro, al “tran tran” del lancio di razzi, spesso rudimentali, cui rispondono bombe d’aviazione con danni più o meno “controllati”. Perché questa scelta ora? Cosa c’è da capire meglio? Abbozzo degli spunti di riflessione.
L’azione violenta, lo scontro armato è sempre una accelerazione. Un cortocircuito. Non si vuole più, non si può più, non si è più in grado di gestire la complessità del conflitto politico. Non se ne intravedono vie d’uscita. Si diviene gocce in un imbuto. Ci si impegna a rimanere attaccati alle pareti, a vivere inclinati, a continuare a pensare, ma, ad un certo punto ci si lascia andare e si precipita nel buco. C’è stanchezza nella lotta, nell’organizzazione quotidiana e capillare, nel vivere di disagi e frustrazioni, nell’essere da decenni “rifugiati”. Morire è anche fuggire, finalmente. E quello di Hamas è stato anche un attacco suicida. Questa è la parte delle ragioni che interroga nel profondo le politiche di Israele, la quale, ai Palestinesi, non lascia intravedere speranze e, spesso, calpesta i sogni. Così facendo contribuisce a creare mostri che nel delirio (anche drogato?) della azione di “branco” non calcolano, ma come centauri, metà uomini e metà bestie, squartano, decapitano, stuprano.
Dobbiamo, al proposito, curarci della West Bank, dove una diversa leadership non ha l’autorità (mi si scusi il voluto gioco di parole), la credibilità sufficiente ad evitare che le “gocce” palestinesi si lascino andare lungo i pendii di un muro che da anni opprime quelli che per la legge internazionale sono pur sempre territori occupati.
Si è già scritto molto sulla lettura geo-strategica della crisi nell’area. Al centro delle ragioni contingenti, capaci di rispondere alla domanda: “perché Hamas ha attaccato ora?”, individuata pressoché da tutti i commentatori, c’è l’esigenza per Hamas, sostenuta dall’Iran, di interrompere il percorso degli “Accordi di Abramo” finalizzati a normalizzare i rapporti tra Israele e alcuni Paesi Arabi (Arabia Saudita, Emirati, Egitto, Giordania, Marocco…). Tale Accordo, indebolirebbe la difesa araba delle ragioni dei Palestinesi e per l’Iran significherebbe il saldarsi di una alleanza potente quanto ostile. In questo quadro la violenza bestiale dell’azione di Hamas sembra allora avere come obiettivo proprio quello di provocare una reazione durissima di Israele contro Gaza. Tale reazione, come stiamo già vedendo, è insostenibile per i Governi arabi, per la dura reazione delle loro popolazioni, fortemente a fianco dei Palestinesi. E questo non può, almeno a breve-medio termine, che portare ad un congelamento di qualsiasi accordo” di normalizzazione “abramitica”.
I Paesi arabi, certamente quelli più vicini (Egitto e Giordania, soprattutto), sono, inoltre, coscienti della instabilità che conseguirebbe al possibile, oceanico flusso di rifugiati che si determinerebbe dalla fuga della popolazione di Gaza. Le conseguenze nella stabilità dell’intera regione, sarebbero incalcolabili.
Tale preoccupazione si estende evidentemente anche al resto dei Paesi Mediterranei, dove, peraltro, sembra destinata a riprendere la stagione di attentati e attacchi armati nelle Capitali, aggiungendo un ulteriore elemento di allargamento degli effetti disastrosi del conflitto.
Lo scenario è drammatico e porta con se elementi di pericolosità strategica senza molti precedenti. Esso si salda da un lato alla situazione Ucraina dove è già in atto uno scontro durissimo tra Alleanza occidentale, Nato e Russia, che anche nelle vicende di Gaza hanno preso posizioni opposte. Dall’altro lato lo scontro in atto sta provocando una accelerazione degli attriti politico-strategici tra Israele ed Iran, per ora fermi ad anatemi ed accuse, ma che tramite un improbabile ma non impossibile coinvolgimento di Hezbollah (che è legato all’Iran)nel conflitto, potrebbe farci precipitare in una catastrofe da effetti imprevedibili.
La vigile deterrenza americana con le sue due portaerei nel Mediterraneo, finalizzata a disincentivare qualsiasi allargamento in tal senso, rappresenta, come sempre, una opportunità, ma non esclude un rischio.
Non c’è forse da meravigliarsi se un contributo al controllo e stabilizzazione della situazione possa essere determinato dagli interessi della Cina, impegnata nell’evitare che si frantumi la sua “Belt and Road Initiative” e che per il suo prolungamento/completamento ha bisogno di stabilità… Che l’aggressiva politica commerciale di Pechino possa essere un fattore di pace, la dice lunga sul livello di confusione e di complessità in cui ci troviamo.
Rappresentare i Palestinesi. E’ questo l’altro scopo che ha guidato, ora, l’azione di Hamas. Proporre l’immagine vincente di una rivalsa, ancorchè temporanea ed illusoria (come lo fu la guerra del Kippur del 1973), in grado di suscitare orgoglio tra gente annichilita dall’occupazione. Strappare, per questo, ulteriori consensi alla Autorità Palestinese di Ramallah. Una azione di competizione interna ed insieme di “marketing” politico. Una operazione di una élite (i vertici di Hamas) contro un’altra, per strappare il consenso di un popolo. E confermare il proprio potere su di esso, o su una parte di esso.
Perseguire un tale obiettivo attraverso una azione non solo terrorista (contro la popolazione civile) ma bestiale, perfino auspicando la reazione violenta, è stato, è, forse l’errore più grave di Hamas. Un errore senza possibilità di recupero. Le morti di Gaza misureranno forse definitivamente la tragica distanza tra l’avventurismo suicida dei vertici di Hamas ed i bisogni della popolazione. Proporsi un obiettivo militare irraggiungibile, esponendosi ad un disastro militare certo per la disparità delle forze in campo, vuol dire vanificare qualsiasi conquista che una azione politica, anche molto radicale, potesse conseguire. Vuol dire annullare qualsiasi opportunità che potesse nascere dalle contraddizioni nel corpo di Israele.
Esporre, a breve, militanti e popolazione alla morte, nel delirio “politicista” di un calcolo incerto sulle conseguenze “positive” nel medio e lungo periodo, è sempre stata la colpa, di fatto suicida ed assassina, di tutti gli avventuristi della storia. Quelli che in nome del popolo si sostituiscono ad esso, per perpetrare la propria ansia di comando. In fondo, i propri privilegi.
Dio/Allah ci salvi dalle élite avventuriste e da quelle che non ascoltano le grida di dolore.
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