Può apparire paradossale, in una guerra in corso, parlare di sostenibilità. Eppure è un grande tema, non da oggi, da inserire nel mosaico progettuale di civiltà che occorre perseguire.
Chatham House, in una riflessione assai interessante (Towards a global plastics treaty), scrive: With the ongoing Russian invasion of Ukraine, the world has shifted into a period of renewed geopolitical conflict. The multilateral system and its institutions – cornerstones of the existing global order – are straining to deal with these rapidly changing circumstances. These are new challenges for global sustainability. Yet, an important element to the solution to this conflict, could also be a green one.
La pace intesa in senso complesso e sostanziale può essere perseguita solo guardando a scelte strategiche che vadano nella direzione della de-escalation: non immaginiamo un mondo che improvvisamente cessi le guerre o elimini la violenza da sé ma intendiamo contribuire a costruire un mondo che sappia gestire gli inevitabili conflitti tra persone e tra sistemi e che, politicamente, adotti la scelta ecologica nel quadro più ampio dell’ “ecologia umana”.
Tale scelta, dai trattati e dai consessi internazionali fino alle scelte di responsabilità individuale, ci porterebbe inevitabilmente dentro la dimensione profondamente poliitica del governo della Storia (che passa da ciascuno di noi). Ci vogliono, evidentemente, cooperazione nella competizione, sistematicità nell’approccio, talento della mediazione e della visione. Tutte cose che non possiamo limitarci a delegare o, peggio ancora, a declamare.