Giuseppe Sarcina (Il mondo sospeso, Solferino 2023, p. 79) scrive del “teorema Merkel”: la cancelliera tedesca è sempre stata convinta che, terminata la Guerra Fredda, il dialogo e, soprattutto, i commerci, gli affari con i russi (e anche con i cinesi) avrebbero smussato le differenze, le tensioni. Il modo più efficace per evitare uno scontro militare era favorire l’intreccio sempre più stretto tra le economie della Russia, della Germania, dell’Europa. Una “Ostpolitik” riveduta e corretta per lo scenario del Terzo Millennio.
Abbiamo capito, ma ci permettiamo dire che non ci voleva una guerra del cuore d’Europa, che la prospettiva qui evocata è irrealistica. Se commerciare e fare affari costituiscono elemento decisivo di un’architettura liberale, e avvicinano i sistemi, non è solo grazie a essi che si garantisce un dialogo complesso per la sostenibilità politico-strategica del mondo.
Dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, il mancato investimento politico in un quadro planetario adeguato ai tempi ci ha portati a pagare un prezzo altissimo: anzitutto di morti, feriti e sfollati in Ucraina e nelle molte altre guerre in giro per il mondo ma, allargando lo sguardo, d’insostenibilità sistemica. L’urlo di “fine della Storia” di inizio anni ’90 si è rivelato una invocazione fuori dalla Storia stessa. Noi umani abbiamo generato processi che non siamo stati, e che non siamo tuttora, in grado di governare: ci siamo illusi (noi occidentali) che, sconfitto il nemico (l’Unione Sovietica), la democrazia e il mercato avrebbero trionfato ovunque.
Ma i rapporti di potere, e le rivendicazioni nazionali e regionali, vivevano e continuavano progressivamente a radicalizzarsi. La complessità della sicurezza veniva progressivamente separata nei suoi elementi e, in tal modo, sacrificata alla legge degli “spiriti animali” in competizione esasperata. Fa impressione rileggere oggi le parole chiarissime, e drammatiche se legate alla tragedia della guerra in Ucraina, pronunciate da Vladimir Putin alla Conferenza di Monaco del 2007. Eppure, nonostante quelle parole, tutto è andato avanti come se nulla fosse. Perché, abbiamo pensato, la democrazia, il mercato e i commerci avrebbero risolto tutto.
Il non aver affrontato, in chiave politico-strategica, l’evoluzione dei rapporti di potere ha fatto in modo che le ragioni della sicurezza diventassero armi difficilmente controllabili. Kissinger (Leadership, Mondadori 2022, p. 529) pone una doppia domanda (forse la stessa “distinta” in due), oggi attualissima: Dalla fine del periodo che ho qui descritto come la guerra dei Trent’anni (1914-45), comunicazione istantanea e rivoluzione tecnologica si sono combinate per conferire un’urgenza e un significato nuovi a due questioni cruciali che i leader devono affrontare: che cosa è indispensabile per la sicurezza nazionale ? E di cosa c’è bisogno per una coesistenza internazionale pacifica ?
Oltre al tema, focus della nostra ricerca, di quale mosaico-mondo occorrerebbe costruire, nella doverosa critica al presente, la sicurezza intesa in senso complesso deve ri-flettersi nelle prospettive realistiche che la condizionano fino a rischiare di renderla impossibile. Da un lato le armi nucleari, pur se utilizzate in termini di deterrenza, ci ricordano sempre che l’uomo ha inventato le possibilità della sua auto-distruzione. Ma l’elemento nuovo, che chiede con decisione una “diplomazia della complessità” nel terzo millennio, riguarda la rivoluzione delle tecnologie “disruptive”. Ancora Kissinger (op.cit., p. 531): L’impatto di queste tecnologie rivoluzionarie trasformerebbe in una catastrofe la loro piena applicazione e ne rende difficile, alle soglie dell’ingestibilità, un uso limitato. Non è stata ancora inventata una diplomazia che permetta di minacciare esplicitamente il loro utilizzo senza correre il rischio che l’altra parte, per reazione, le adoperi per prima. Le esplorazioni in materia di controllo degli armamenti sembrano essere state messe in ombra da queste enormità.
Gli strumenti culturali e operativi di cui disponiamo per comprendere e governare il futuro già presente sembrano spuntati, ancora novecenteschi. Eppure la realtà, che noi stessi generiamo, da anni ci parla delle sue evoluzioni e involuzioni; per essere buoni, non lo abbiamo capito. Essere in sintonia con la realtà, re-istituendo un quadro generale realistico e visionario, è condizione necessaria per ri-condurre l’umanità e il pianeta sul binario di una sostenibilità politico-strategica che diventa questione di sopravvivenza.