Gli alfieri della linearità e dell’antagonismo, da prospettive diverse ma allo stesso modo, hanno bisogno dello Stato burocratico. Entrambi, infatti, nuotano nella stessa acqua, quella di uno Stato che non vuole accettare la propria doppia sconfitta storica: di non essere più l’unico “titolare” del potere e di dover fare i conti con l’inconsistenza fattuale dei propri confini.
Serve pensiero critico e complesso, di consapevolezza delle dinamiche storiche che ci percorrono. La radicalizzazione crescente dello Stato burocratico, nel tempo che viviamo, dovrebbe preoccuparci: tanto più se tale radicalizzazione avviene in contesti democratici.
Lo Stato burocratico non ha vie di uscita e non può difendersi dalla sua fine se non attraverso l’uso della forza. Perché lo Stato burocratico non capisce e non concepisce il pensiero libero anche se, fortunamente, nelle democrazie consolidate i “pesi e contrappesi” permettono ancora l’esercizio delle libertà e la garanzia dei diritti. Ma sono proprio le democrazie a dover avviare una riflessione aperta e realistica sulla fine, peraltro non a breve termine, dello Stato burocratico: e questa riflessione può avvenire non mettendosi sulla difensiva o aprendo uno scontro insostenibile tra democrazie e autocrazie ma aprendosi a un’interna auto-critica profonda.
Solo le democrazie possono essere auto-critiche e questo è il loro punto di forza rispetto ad altri sistemi. La contraddizione che stiamo vivendo è di democrazie liberali dentro Stati burocratici: ed è una contraddizione potenzialmente esplosiva perché si combina, spesso, con le difficili condizioni di vita delle popolazioni.
Se le democrazie avrebbero molto da dire in termini di costruzione del futuro già presente, è la struttura “monstre” dello Stato burocratico a limitarne le potenzialità. Spesso, invece, si capovolge il ragionamento, sostenendo la necessità dello Stato burocratico a salvaguardia della democrazia. Si tratta, con tutta evidenza, di una falsa necessità, utilizzata retoricamente per alzare il livello dello scontro, per procedere nella separazione e per radicalizzare il conflitto. Esempi come Israele e Georgia, ma non solo, lo dimostrano.
L’auto-critica, in democrazia, è il processo che serve a vedere ciò che lo Stato burocratico, per sua stessa natura, non vede o non vuole vedere: il mistero della convivenza nel sano conflitto tra differenze. Per questo l’auto-critica deve accompagnarsi a un pensiero complesso
Proponiamo un lavoro di ricerca che sia cammino di progressiva de-radicalizzazione verso lo Stato democratico e per la salvaguardia dei principi democratici e perché le potenzialità della democrazia diventino possibilità di azione geostrategica nell’interesse del bene comune.
(English version)
The supporters of linearity and antagonism, from different perspectives but equally, need the bureaucratic State. Both, in fact, swim in the same water, that of a State that does not want to accept its own double historical defeat: of no longer being the sole ‘holder’ of power and of having to come to terms with the factual inconsistency of its own borders.
We need critical and complex thinking, an awareness of the historical dynamics that run through us. The increasing radicalisation of the bureaucratic State, in the times we live in, should worry us: all the more so if this radicalisation occurs in democratic contexts.
The bureaucratic State has no way out and cannot defend itself against its demise except through the use of force. Because the bureaucratic State does not understand and does not conceive of free thought even if, fortunately, in established democracies the ‘checks and balances’ still allow freedoms to be exercised and rights to be guaranteed. But it is precisely democracies that must initiate an open and realistic reflection on the end, which is not in the short term, of the bureaucratic State: and this reflection can take place not by being defensive or by opening up an unsustainable clash between democracies and autocracies, but by opening up to a profound internal self-criticism.
Only democracies can be self-critical and this is their strength compared to other systems. The contradiction we are experiencing is of liberal democracies within bureaucratic States: and it is a potentially explosive contradiction because it is often combined with the difficult living conditions of the populations.
While democracies would have much to say in terms of building the future already present, it is the ‘monstrous’ structure of the bureaucratic State that limits their potential. Often, however, the reasoning is reversed, arguing for the necessity of the bureaucratic State to safeguard democracy. This is, quite clearly, a false necessity, used rhetorically to raise the level of confrontation, to proceed with separation and to radicalise the conflict. Examples like Israel and Georgia, but not only, prove this.
Self-criticism, in democracy, is the process that serves to see what the bureaucratic State, by its nature, does not see or does not want to see: the mystery of coexistence in the healthy conflict between differences. This is why self-criticism must be accompanied by complex thinking.
We propose a research work that is a path of progressive de-radicalisation, towards the democratic State and for the preservation of democratic principles. So that the potential of democracy becomes a possibility for geostrategic action in the interest of the common good.