Nel quadro del cambio di era che stiamo vivendo, il dialogo geostrategico assume un’importanza decisiva per la sostenibilità politico-strategica dei mondi e del mondo.
Il dialogo è complesso: dialettico e dialogale. Qui cominciamo a trattare la dimensione dialettica che riguarda il confronto, anche aspro, tra interessi diversi e spesso divergenti: la dimensione dialettica del dialogo è la mediazione, capacità di ogni posizione di aprirsi all’altra e di individuare spazi-in-comune. Mai come oggi, la guerra mondiale “a pezzi” ci mostra l’evidenza di un mondo che, drammaticamente, investe sulla separazione e sulla violenza, non solo con riguardo alle guerre guerreggiate. C’è, in giro, un sentimento di competizione esasperata che radicalizza le posizioni e che rafforza l’ambito a-politico dell’assenza di dialogo. Mano a mano che le differenze si radicalizzano, infatti, la dimensione dialettica del dialogo diventa molto complicata se non impossibile.
Altresì, contro l’efficacia del dialogo dialettico gioca la natura esistenziale, per molti dei soggetti in campo, dei conflitti e delle guerre in atto, prima fra tutte quella in Ucraina: non siamo analisti strategici ma sottolineiamo l’importanza di chi, soprattutto nella guerra in Ucraina, sta giocando un ruolo che va riconosciuto, pur con grande realismo e senza illusioni: diplomatici di lungo corso come Umberto Vattani (Il Fatto Quotidiano, I diplomatici: “Pace, piano di Xi positivo: anche su crisi Taiwan”, 28 aprile 2023) invitano a guardare agli sforzi cinesi con attenzione e senza pregiudizi.
La guerra in Ucraina, ma non solo, ci invita a mettere in campo quelli che papa Francesco definisce “sforzi creativi di pace”. Così il Pontefice nel discorso tenuto ieri, 28 aprile 2023, a Budapest: In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi. Penso a quando De Gasperi, a una tavola rotonda cui parteciparono anche Schuman e Adenauer, disse: «È per se stessa, non per opporla ad altri, che noi preconizziamo l’Europa unita… lavoriamo per l’unità, non per la divisione» (Intervento alla Tavola rotonda d’Europa, Roma, 13 ottobre 1953). E ancora, a quanto disse Schuman: «Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche», in quanto – parole memorabili! – «la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano» (Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950). In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?
Capolavoro di pensiero complesso, questo passaggio del discorso di Francesco non è solo un richiamo all’Europa ma, concentrandosi sull’Ucraina, invita a “nuove” forme di diplomazia fondate sul dialogo dialettico. La creatività è un elemento profondamente politico nel dialogo dialettico e della mediazione: con il rispetto per tutti gli sforzi che si stanno compiendo, la vera grande questione con la quale dobbiamo confrontarci è l’apertura di spazi di possibilità. La “diplomazia della misericordia” ci insegna che è il tempo degli artigiani di complessità: occorre calarsi dentro le ferite della storia, rispetto alle quali nessuno può dirsi innocente e per curare le quali tutti devono essere responsabilmente coinvolti. Già questo primo passaggio, la progressiva relativizzazione reciproca degli attori in campo (non solo quelli direttamente coinvolti nei campi di battaglia), è parte sostanziale del dialogo dialettico: non è dividendo il mondo tra buoni e cattivi, privilegiando l’antagonismo tra democrazie e autocrazie e costruendo fronti contrapposti che si arriverà allo spegnimento dei tanti fuochi accesi in giro per il mondo. La pace, per diventare processo storico e non solo essere assenza di guerra, deve trasformare la natura della politica. Pasquale Ferrara (2023, p. 22) invita a distinguere tra politica della pace e pace come politica.
Nel dialogo dialettico possiamo iniziare a lavorare per una pace come politica mentre operiamo una politica della pace. Il tema è complesso e, come abbiamo già sottolineato, attiene alla formazione di classi dirigenti che definiamo “del progetto umano”.
- Pasquale Ferrara, Cercando un paese innocente. La pace possibile in un mondo in frantumi, Città Nuova 2023
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